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venerdì, 19 Aprile, 2024
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Tutti al Vesper per Gianfranco, ma il Comune mette in mora Bentivoglio

Il passaparola corre sui social e ieri sera il Vesper era affollato. Per una volta nessuno pensa agli assembramenti, pur con mascherina e distanze opportune si va compatti come un esercito nel locale di Gianfranco Laganà, per far sentire al titolare dell’american bar che la città c’è e fa quadrato attorno alla sua coraggiosa denuncia contro il clan Tegano.

Dall’atto di ribellione dell’imprenditore è scaturita l’inchiesta sui rampolli che spadroneggiavano nell’ambiente della movida reggina. Anni di vessazioni, atti di tracotanza e pretese di costose consumazioni gratuite, condotti con minacce e vandalismi punitivi dalla famiglia ‘ndranghetista di Archi, coperti dalla quasi totale omertà delle vittime – tanto che tra le sette persone indagate dall’antimafia c’è anche il titolare di un noto locale cittadino, per favoreggiamento. A rompere il silenzio è stato Gianfranco Laganà, che qualche giorno fa aveva salutato la riapertura della sua attività con un post dove indossava come buon auspicio una sciarpa tricolore.

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Tra i tantissimi che ieri sera si sono dati appuntamento al Vesper c’è stato il sindaco Giuseppe Falcomatà, che in una nota ufficiale già aveva espresso la sua solidarietà all’imprenditore: «Sono venuto a salutarlo e ringraziarlo per avere denunciato la ‘ndrangheta. Ci ha profuso una grandissima lezione che è quella che, se stiamo insieme, Reggio ce la può fare».

Parla di «gesto straordinario nella sua normalità» anche Claudio Aloisio, presidente di Confesercenti Reggio: «Ho conosciuto Gianfranco – scrive Aloisio nel suo messaggio a Laganà – durante l’inizio della pandemia quando, giudicando positivamente il lavoro svolto dall’associazione a tutela della categoria dei ristoratori, venne in sede per iscriversi. Da allora abbiamo iniziato un percorso, insieme a tanti altri suoi colleghi, con l’obiettivo di supportare un settore tra i più colpiti in questo difficile periodo ma, soprattutto, di programmare il futuro di un territorio dalle infinite potenzialità ancora inespresse. Non posso quindi che ringraziare Gianfranco per quello che ha fatto. Un atto che in una difficile situazione ambientale come la nostra, assume un valore altro, più grande della semplice denuncia: il valore dell’esempio, di chi non si piega e si affida con fiducia allo Stato». Aloisio dedica però anche un pensiero a chi non ha ancora il coraggio di ribellarsi al sistema criminoso: «Tanti imprenditori che continuano, direttamente o indirettamente, a subire in silenzio non per questo devono essere considerati vigliacchi o, addirittura, complici. Sono invece vittime da sostenere e comprendere perché nessuno può pretendere che chi lavora onestamente debba essere anche un eroe. E’ importante che lo Stato rafforzi le norme a tutela delle vittime e semplifichi l’accesso agli aiuti economici. Le strette di mano e le prese di posizione pubbliche – conclude – sono importanti, ma se non accompagnati da interventi rapidi e concreti rischiano di rimanere autoreferenziali esercizi di stile».

Insomma, se la simbologia del racket è legata alle esplosioni di portoni e automobili, questa volta a scoppiare è stata la solidarietà. Un’onda spontanea di vicinanza che è misura di un cambiamento in atto nella città, un’inedita forza d’urto contro la mentalità e lo strapotere mafiosi.

Ma c’è un rovescio della medaglia, che non riguarda i cittadini. Un altro imprenditore reggino che si oppone da anni alla criminalità si è visto notificare dal Comune una messa in mora per locazioni non pagate. Tiberio Bentivoglio, titolare della ditta sanitaria Sant’Elia con la moglie Enza Falsone, è stato vittima di numerose violenze e atti intimidatori da parte del racket ed è scampato a un tentato omicidio a colpi d’arma da fuoco. Eventi che Bentivoglio ha sempre denunciato alle autorità giudiziarie portando avanti nel contempo un’appassionata sensibilizzazione contro l’omertà. L’attività dei coniugi è ubicata in un immobile confiscato ma da cinque anni la coppia di imprenditori non riesce a pagare il canone d’affitto perché oberata dai debiti contratti per rimediare ai danni delle intimidazioni. Il risarcimento che lo Stato prevede a beneficio delle vittime della criminalità organizzata non lo hanno mai visto, bloccato da pastoie burocratiche. Per questa inadempienza Bentivoglio e Falsone hanno ora ricevuto una lettera con cui il Comune di Reggio chiede gli arretrati di 3000 euro mensili per cinque anni. Soldi che non hanno, come spiegano in una lettera inviata al Comune e per conoscenza al Presidente della Repubblica, al procuratore nazionale antimafia, al prefetto di Reggio, al presidente della commissione parlamentare antimafia, al presidente facente funzione della Regione Calabria, e poi Anci, Libera e Avviso Pubblico. I due imprenditori chiedono di poter rinegoziare il canone di locazione dell’immobile confiscato, che avevano anche ristrutturato a loro spese senza che queste migliorie siano state detratte dal debito. L’elevato canone era stato accettato per necessità dopo l’incendio doloso che nel 2016 aveva distrutto la merce custodita in un deposito. Come ricordano i coniugi, esiste tra l’altro una delibera del Consiglio comunale reggino che prevede un’esenzione dai tributi a favore degli imprenditori che denunciano un’estorsione. La paradossale vicenda della messa in mora ha dato spunto a Bentivoglio per proporre che la legge 109 del 1996 sull’assegnazione dei beni confiscati alla mafia a cooperative e onlus senza scopo di lucro a fini sociali sia modificata, per includere tra i beneficiari le vittime della criminalità. 

Bentivoglio ha già ricevuto le telefonate del procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho e del senatore Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia, che avrebbe già invitato il sindaco Falcomatà ad incontrare l’imprenditore per trovare una soluzione. Chiede al Comune una «mediazione all’insegna del buon senso» anche Klaus Davi.

Non si fa fatica a credere che la letterina indirizzata a Bentivoglio e Falsone sia partita un po’ in automatico da un ufficio comunale nel meccanismo del recupero crediti, senza valutare la particolare situazione. Ugualmente la notizia che il Comune abbia avanzato una simile richiesta ha suscitato generale indignazione. Ci si chiede come si possa indebolire il sentimento omertoso e proporre ad esempio persone come Laganà e Bentivoglio eppure consentire che l’iter delle carte bollate mandi a picco la situazione economica già disperata di chi, proprio per aver denunciato, ha subito perdite e danni gravissimi. Assurdità, prima che calabresi, italiane.

Isabella Marchiolo

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