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sabato, 27 Aprile, 2024
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Dopo 6 anni al via il processo per la morte a Venezia della calabrese 28enne Sissy Trovato Mazza

Quel processo che non c’è mai stato e forse mai ci sarà – perché la procura di Venezia l’ha sempre ritenuto un suicidio – è iniziato il 10 maggio dopo oltre sei anni. Anche se la vicenda della morte (a soli 28 anni) di Maria Teresa Trovato Mazza, per tutti Sissy, (nata a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria) arriva in aula dalla parte «opposta»: ovvero per l’ipotesi di calunnia contro una detenuta che avrebbe accusato una poliziotta penitenziaria di essere responsabile del delitto. «Non ho mai detto di aver ucciso Sissy», ha detto però l’agente in aula di fronte al giudice Marco Bertolo. Il caso è quello ben noto della poliziotta del carcere della Giudecca trovata con un colpo di pistola in testa l’1 novembre 2016 in un ascensore dell’Ospedale civile di Venezia e poi rimasta in coma fino al 12 gennaio 2019 quando si era spenta a nemmeno trent’anni.

Le versioni discordanti
Per il pm Elisabetta Spigarelli (che, va detto, è subentrata a una collega a indagini già iniziate) si è sparata lei, anche perché non ci sarebbero elementi della presenza di un’altra persona. I parenti di Sissy, a partire dal padre Salvatore che era in aula anche il 10 maggio («vogliamo solo la verità», dice), da sempre invece sostengono che sia stato un omicidio o che comunque qualcosa non torni. A gennaio 2020 però ecco il colpo di scena: una detenuta rivela alla comandante della Penitenziaria che un’agente le avrebbe confessato di aver ucciso Sissy «puntandole la pistola al collo e sparando». E a quel punto viene organizzata una «trappola», per cercare di farglielo ripetere. E proprio di questo episodio si è parlato in aula, tra versioni discordanti.

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Quelle parole in carcere
L’incontro sarebbe avvenuto in una stanza del carcere, mentre due agenti origliavano da quella vicina. Nel verbale reso subito dopo, la detenuta aveva detto che l’agente aveva confessato. Una delle «spie» in aula ha detto di aver sentito dire alla collega «io voglio solo morire», dopo che l’esca aveva detto che avrebbe voluto sapere la verità sul caso. La presunta omicida (difesa dagli avvocati Stefania Pattarello e Marco Marcelli, è parte offesa, ma non parte civile) ha invece sminuito quella frase: «È un mio modo di dire, intendevo che avrei fatto di tutto per sapere la verità». Ma poi le fu tolta la pistola per il timore di istinti suicidi e venne congedata per un mese. Su questo si innesta poi una relazione redatta dalla comandante e contestata dalla stessa agente-testimone – «le avevo detto di specificare meglio delle cose, ma mi disse che tanto si capiva: sono stata ingenua a firmarla lo stesso» – e degli screzi tra agente sotto accusa e imputata perché la prima non le aveva fatto consegnare un regalo a un’altra detenuta e aveva respinto le sue avances.

«Quella mattina ho bevuto il caffè con Sissy»
Inoltre, su domanda dell’avvocato Mauro Serpico, che difende l’imputata, è emerso che la detenuta aveva saputo anche che la stessa agente, insieme a un’altra, aveva picchiato Sissy qualche settimana prima. Resta il fatto che non risulta che l’agente accusata sia uscita dal carcere quella mattina dell’1 novembre. «Non è possibile uscire da soli, serve almeno la complicità di un collega», ha detto un’altra testimone. La calunniata ha negato: «Quella mattina ho bevuto il caffè con Sissy, poi lei è andata in ospedale da sola. Io sono rimasta in infermeria fino alle 13».
(Alberto Zorzi-corriere.it)

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