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venerdì, 26 Aprile, 2024
HomeAttualitàTreno deragliato, la moglie di Giuseppe Cicciù: «La solita telefonata mai arrivata»

Treno deragliato, la moglie di Giuseppe Cicciù: «La solita telefonata mai arrivata»

Un silenzio inquietante che nella mente di Paola faceva tutto il rumore che può fare un presentimento, una preoccupazione. «Ogni volta che lavorava con il primo turno mi chiamava alle sette meno un quarto per svegliarmi e darmi il buongiorno» ha raccontato lei stessa alle amiche che sono passate da casa a trovarla, abbracciarla. Giovedì mattina niente, nessuna chiamata. Paola si è impensierita, le sembrava strano che il suo Peppino non si fosse ancora fatto sentire. Ma c’era il figlio quattordicenne da portare a scuola, era ora di colazione, c’era la tivù spenta e la voglia di scacciare i cattivi pensieri. Così ha accompagnato il ragazzo ed è tornata a casa. Solo a quel punto ha saputo: erano ormai passate le otto, l’incidente era successo da più di due ore.
Paola Gesualdo è la moglie di Giuseppe Cicciù, 51 anni, uno dei due ferrovieri morti nello schianto del Frecciarossa Milano-Salerno. In questi due giorni che le sono sembrati infiniti è uscita dal suo appartamento di Cologno Monzese soltanto per andare alla camera mortuaria dell’ospedale di Lodi. Per accarezzare una bara, in sostanza. Perché «ho chiesto di vederlo ma mi hanno detto che non è possibile» ha spiegato ai parenti di Giuseppe arrivati da Reggio Calabria, dove lui è nato e cresciuto con le sorelle Teresa e Giusy e dove oggi vive la sua anziana madre, Elena, alla quale lui era legatissimo. La ragazza che apre la porta di casa Cicciù, all’ottavo piano di una palazzina dove la famiglia abita da molti anni, dice che Paola è sfinita, non vuole parlare con nessuno. Di lui non se la sente di dire nient’altro che le poche parole dette a tutti: «Era l’uomo migliore del mondo, meraviglioso. Un padre perfetto».

«Non ci volevo credere»
Chiunque le abbia stretto le mani, in queste ore di lacrime e disperazione, l’ha vista scuotere la testa e l’ha sentita ripetere che «non è possibile, io non ci volevo credere. Come si può credere che sia successa una cosa del genere? Come può succedere?». Giovedì mattina, appena ha saputo, è tornata a scuola di corsa a prendere suo figlio e già in tanti, nel quartiere, avevano visto in televisione le immagini del Frecciarossa accartocciato e avevano saputo che i due macchinisti erano morti. I loro nomi (oltre a Giuseppe anche Mario Dicuonzo, 59 anni) sono diventati noti poco dopo. E a Cologno come a San Giorgio Extra (il rione reggino che ha visto crescere Giuseppe) è arrivata l’onda emotiva dei ricordi: di Peppino che aiutava tutti, ma proprio tutti; di quegli anni che non mancava mai alla messa di don Gaetano nella parrocchia davanti a casa; di quando da ragazzo tifava per la Reggina o di quando raccontava della sua Paola e di suo figlio. Li ha lasciati nel mezzo di una notte qualsiasi per andare incontro alla morte.
(corriere della sera)

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