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giovedì, 28 Marzo, 2024
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Studio italiano svela le conseguenze del virus sui pazienti nella fase post ospedaliera

Meno reattivi, imprigionati in una sorta di nebbia mentale, alle prese con problemi di memoria. Sono le conseguenze neurologiche di Covid-19 che persistono in alcuni pazienti anche dopo mesi dal giorno in cui hanno lasciato l’ospedale. A fotografare la sofferenza silenziosa dei reduci dalla battaglia contro Sars-CoV-2 è uno studio italiano coordinato dall’università Statale di Milano, che indaga nella fase post ospedaliera dei malati Covid, a distanza di 5 mesi: rallentamento mentale e difficoltà di memoria i sintomi più persistenti riferiti. Sono persone che si lasciano alle spalle l’ospedale e, anche se il tempo passa, continuano a fare i conti col nemico. Lamentano stanchezza e mancanza di lucidità, fatica nelle attività quotidiane come lavorare, guidare la macchina o fare la spesa.
Lo studio pubblicato sulla rivista ‘Brain Sciences’ riporta la valutazione delle funzioni cognitive, fatta 5 mesi dopo la dimissione dall’ospedale, in un gruppo di 38 pazienti precedentemente ricoverati. Età tra i 22 ed i 74 anni, senza disturbi della memoria o dell’attenzione prima del ricovero. La ricerca coordinata da Roberta Ferrucci, ha visto la collaborazione del Centro Aldo Ravelli del dipartimento di Scienze della salute dell’università degli Studi di Milano, dell’Asst Santi Paolo e Carlo e dell’Irccs Istituto Auxologico di Milano, e documenta che 6 pazienti su 10 guariti dal Covid-19 hanno un rallentamento mentale e ottundimento e 2 su 10 riportano oggettive difficoltà di memoria.
Questi disturbi, puntualizzano gli autori dello studio, non sono associati a depressione ma sono correlati alla gravità della relativa insufficienza respiratoria durante la fase acuta della malattia. Le alterazioni osservate si riscontrano anche in soggetti giovani. “Questo è uno studio importante che dimostra che i disturbi di memoria e il rallentamento dei processi mentali osservati, in più della metà dei nostri pazienti, persistono anche mesi dopo la dimissione – spiega Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica dell’università di Milano presso il Polo Universitario Ospedale San Paolo – Queste alterazioni possono, nei casi più gravi, anche interferire con l’attività lavorativa, particolarmente per chi ha un ruolo che richiede decisioni rapide, come gli stessi medici o gli infermieri. Il meccanismo per cui il virus altera le funzioni cognitive è complesso. L’interessamento del sistema nervoso origina sia da una diretta invasione da parte del virus, sia indirettamente attraverso l’attivazione dell’infiammazione e della risposta sistemica all’infezione”.
(Adnkronos)

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