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mercoledì, 8 Maggio, 2024
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Storie di ordinaria precarietà: parla il professore 29enne in trasferta dalla Calabria nella carissima Milano

D’estate e durante le vacanze di Natale o di Pasqua — ovvero i periodi che passa a casa sua, a Filandari (Vibo Valentia) — vive da solo, in un ampio appartamento, un tempo dei suoi genitori che ora si sono trasferiti altrove. Niente spese, a parte le bollette e la benzina per l’auto. Uno spiraglio di quella che potrebbe essere la sua vita da insegnante, in Calabria. Invece Fabio Mazzitello, 29 anni, il lavoro lo fa a Milano, dove si è trasferito dieci anni fa e fa l’insegnante di sostegno. Ma qui la vita, ormai, è di tutt’altro tenore con il suo stipendio da 1.500 euro al mese: «La metà se ne va per una stanza in affitto in un bilocale in condivisione — ci racconta —, poi le spese di condominio, le bollette. E ci sono il supermercato, l’abbonamento ai mezzi pubblici, le altre necessità». E in tasca resta poco. È la vita di molti altri docenti arrivati, come lui, dal Sud. Sono loro, che oggi guardano con attesa alla proposta di stipendi «differenziati» lanciata (non senza polemiche) dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara.

«Ho insegnato in cinque scuole — dice Mazzitello —: a Rho, San Donato, poi a Milano. Ora sono all’Istituto professionale Kandinsky, indirizzo socio-sanitario, dove vorrei restare». A 19 anni, dopo il diploma da perito chimico, Fabio si trasferisce a Milano. «Studiavo Agraria e intanto già lavoravo nelle scuole come insegnante di laboratorio per cui basta avere il diploma. Il primo anno ho vissuto a casa di parenti a Gallarate, in provincia di Varese — racconta —. Poi ho saputo che un mio compaesano, Giovanni, cercava un coinquilino per un bilocale a Pero, sul confine con Milano e con la fermata del metrò a due passi. Così mi sono trasferito». «Lui però ora sta per andare via — prosegue —. La casa sarà messa in vendita e ho chiesto il mutuo per poterla comperare: la cifra dovrebbe essere simile a ciò che pago ora. Mi aiuteranno i miei genitori con l’anticipo. E poi cercherò a mia volta un coinquilino, magari un collega. C’è solidarietà tra noi e nascono amicizie». Impossibile fare altro, d’altronde.

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Tra i suoi amici più cari a Milano c’è un collega, Antonio Mascaro, 30 anni. Laureato in Economia e originario di Accaria Rosario (Catanzaro) vive con due coinquilini. Lui paga 550 euro al mese e ha il contratto fino al 30 giugno. In quattro anni ha cambiato tre appartamenti e quattro scuole. «Non puoi rifiutare la chiamata, anche se è dall’altra parte della provincia, se no perdi l’incarico», dice lo stesso Antonio.
Fabio e Antonio spesso cenano insieme. «A casa però, non fuori, a Milano devi stare coi piedi per terra, avere un budget e non sforare — dice Fabio —. A mezzogiorno non pranzo mai fuori: preparo dei piatti e li porto a scuola. La spesa la faccio al discount, pane, pesce e carne qui costano meno. Se esco è solo una sera a settimana, per un aperitivo o una pizza. Quando ero studente invece andavo all’Hollywood, all’Old Fashion a ballare. Non vado in palestra, ma a correre al parco. Niente auto: uso sempre i mezzi pubblici, se proprio occorre prendo una macchina a noleggio. Poi approfitto dell’apertura gratuita dei musei la prima domenica del mese: ho visto il Museo del Novecento. Unico sfizio, andare a vedere una partita dell’Inter, ma non un big match».

I voli di ritorno in Calabria li prenota mesi prima. «Solo low cost, se no spenderei anche 300 euro», dice. D’estate, quando torna a casa, aiuta i genitori. «Abbiamo una piccola attività famigliare, un allevamento di suini e bovini e un vitigno». Perché fare questa vita a Milano, allora? «In Calabria vivrei meglio, ma il mio lavoro mi piace. Ho fatto dei concorsi per passare di ruolo e quando ci riuscirò, chiederò il trasferimento. Senza un intervento sugli stipendi non c’è alternativa». Lo sostiene Antonio: «Da precari non c’è alcuna possibilità di trovare posto in Calabria: non abbiamo scelta».
È venerdì sera, i due amici cenano insieme. «Io mi auguro che il governo affronti anche il tema del precariato nella scuola — afferma Fabio — che pesa dal punto di vista umano sia su di noi sia sugli studenti».
(Fonte: corriere.it)

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