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venerdì, 29 Marzo, 2024
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Reggio, il sindaco Falcomatà fa rimuovere cartelloni choc contro l’aborto: “Messaggio violento”

“Il corpo di mio figlio non è il mio, sopprimerlo non è la mia scelta”. Queste parole, insieme all’hashtag #stopaborto, sono la nuova idea dei creativi dell’associazione Pro Vita e Famiglia, e si leggono, abbinate ai volti sorridenti di giovani donne, su cartelloni apparsi nelle strade di Reggio. Ancora per poche ore, perché il sindaco Giuseppe Falcomatà ha deciso di farli rimuovere, ritenendoli “lesivi della libertà personale dell’individuo”. Per la legge, in assenza di reali reati nel contenuto dei manifesti, l’atto del sindaco reggino è un illecito, insomma una specie di censura al libero pensiero. Falcomatà però la pensa diversamente, come spiega sulla sua pagina Facebook: “Mi hanno detto che non si può fare perché non ci sarebbe nessun messaggio violento scritto. E invece si. È una violenza impedire a una persona di scegliere, in modo consapevole e responsabile, nel rispetto della legge. È una violenza non consentire a una persona di avere un’altra idea, un’altra opinione, un altro punto di vista. È una violenza ancora maggiore esporre questi manifesti vicino le scuole, luoghi di educazione, di istruzione, di cultura, luoghi in cui si forma la coscienza di ogni individuo e si impara il rispetto per la dignità di ogni individuo. È violenta una pubblicità il cui messaggio è che non sei padrona di te stessa. Non si può fare – mi è stato detto – ci esponiamo al rischio di finire in tribunale. Ho risposto che sarò contento di spiegare a un giudice perché quel messaggio è violento”. 
L’iniziativa di Falcomatà è un segnale importante in un momento in cui si respira nel nostro paese, fin dalle più alte cariche, un’inversione reazionaria del pensiero riguardo i temi di famiglia e sessualità. Ma era prevedibile che sull’episodio la cittadinanza si dividesse, in base alle diverse convinzioni ideologiche (e pure di qualche strumentalizzazione politica). In realtà non è la prima volta che lo stile di comunicazione aggressivo dei Pro Vita suscita sdegno, e non solo a Reggio. Qualche mese fa erano state alcune associazioni a denunciare la presenza di una vela pubblicitaria che mostrava una donna esanime con una mela nel palmo, richiamando la fiaba di Biancaneve nello slogan “prenderesti del veleno?”, ovvero la pillola Ru486. Già allora era stato sollecitato l’intervento del sindaco. E la campagna contro l’aborto che oggi Falcomatà ha vietato è stata in questi giorni al centro di analoghe azioni, una a Milano e l’altra (ancora senza esito, richiesta da Pd a Virginia Raggi) a Roma, con il ritiro dell’autorizzazione alle affissioni.
Per non citare altre celebri spot dei familisti, come quello contro l’utero in affitto, che mostrava due uomini denominati genitore 1 e genitore 2 spingere un carrello della spesa dentro il quale la merce è un bambino con tanto di codice a barre sul petto.
Nel caso dell’accanito battage antiabortista, il movimento Pro Vita si spinge fino a dichiarazioni scientificamente infondate (come quella sul rischio letale della Ru486), e non è meno pericoloso il senso di questa nuova trovata promozionale, che va ben oltre i limiti dell’oscurantismo e la colpevolizzazione di chi decide di abortire, arrivando a negare alla donna la consapevolezza del proprio corpo, definito come semplice contenitore di feti. La stessa riflessione sulla violenza di questo messaggio ha animato l’intervento del sindaco reggino Falcomatà, ma qualcuno si è già preso la briga di ricordargli che la rimozione di quei manifesti potrebbe esporre il Comune a un risarcimento danni.
La Onlus Pro Vita e Famiglia ha replicato così su Facebook: “Il commento del sindaco non entra nel merito della questione sollevata dal manifesto ma sposta la discussione dalla liceità dell’aborto alla libertà d’espressione. Spiace perché il sindaco, per il ruolo istituzionale che riveste, dovrebbe invece farsi garante delle libertà costituzionali di tutti, fra cui il diritto inviolabile alla libertà di espressione. L’unica vera violenza è la censura!!! Ma il nostro impegno a favore della vita continuerà ugualmente a Reggio come in tutta #Italia”.
Ma soprattutto contro Falcomatà si è scagliata l’arcidiocesi di Reggio-Bova. In una nota si commenta così l’accaduto: “Un manifesto che reca una opinione alternativa all’aborto non rappresenta, in nessun caso, un impedimento a scegliere di abortire. Rammarica constatare che ancora oggi si fa un uso pregiudizievole e politico della tematica dell’aborto, una pratica che lascia ferite profonde in molte donne e che, se affrontata in modo superficiale ed ideologico, calpesta la dignità delle donne stesse, soprattutto di coloro che, per diversi motivi, hanno fatto la dolorosa scelta di abortire. Pertanto l’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova, – si legge nella nota dell’Ufficio per le comunicazioni sociali – mentre esprime profondo e preoccupato rammarico per il fatto in questione, prende le distanze, in modo inequivocabile e netto, non soltanto dalla decisione assunta dal sindaco Giuseppe Falcomatà, ma soprattutto – sia pure rispettandole – dalle motivazioni che egli stesso ha espresso a sostegno di essa, ritenendole lesive della libertà di espressione e di opinione”.
L’Arcidiocesi ha annunciato un “documento di riflessione su quanto accaduto, redatto con l’aiuto di alcuni esperti nelle scienze teologiche, etico-giuridiche ed umane”. Al di là di ogni intoccabile libertà di idee, resta molto amaro e sconcertante lo scontro su quello che da quarant’anni è un diritto protetto dalla legge e non dovrebbe essere mai oggetto di propaganda.
Isabella Marchiolo

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