La Corte d’appello di Reggio Calabria (presieduta da Elisabetta Palumbo) dopo 7 ore di camera di consiglio ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi con pena sospesa: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte ha assolto Lucano dai reati più gravi ed è stato condannato per un falso in relazione ad una delibera del 2017 mentre sono stati assolti tutti gli altri 17 imputati del processo che, in primo grado, erano stati giudicati colpevoli. L’ex sindaco di Riace era accusato di diversi reati. Il più grave era quello di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Tra i reati contestati dalla Procura generale all’ex sindaco di Riace anche la truffa aggravata, abuso d’ufficio, diversi falsi e un peculato. Tutti reati caduti in appello, tranne un falso. Il sistema criminale che i giudici di primo grado hanno letto dietro il modello Riace – ha stabilito la Corte d’appello – non esiste.
Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni. La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride.
Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.
Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».
E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».
L’ex sindaco di Riace, felice per l’esito dell’Appello, aveva sempre sostenuto la propria innocenza. “Oggi finisce un calvario che sembrava interminabile”. “Essendo anche io un comune e mortale essere umano – ha aggiunto – è probabile che in questa vicenda abbia commesso degli errori ma di un aspetto, in particolare, sono sicuro, molto sicuro e convinto: ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture». «Un grande grazie, comunque – ha concluso Lucano – lo voglio rivolgere, in particolare, ai miei avvocati, al compianto Antonio Mazzone, a Pisapia e Daqua, non miei legali ma miei fratelli, uomini e professionisti che hanno capito sin da subito di avere di fronte un innocente».
Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si è trattato di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. L’attenzione della difesa si è concentrata su quella che è stata definita dai legali una conversazione «chiave». Secondo Daqua e Pisapia il tribunale di Locri avrebbe utilizzato una trascrizione della Guardia di finanza dove è attribuita a Lucano una frase «inesistente» nella perizia disposta dalla stessa procura. Le motivazioni degli avvocati convergono quindi su una «una lettura forzata se non surreale dei fatti». In sostanza, si sarebbero inquinate le prove per portare alla condanna di Lucano che invece, per la difesa, aveva un solo obiettivo: «in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
«Il fatto non sussiste per le accuse di associazione a delinquere, abuso d’ufficio e trasporto rifiuti e tanti altri reati per cui era stato condannato. Oggi Mimmo Lucano è stato assolto da tutti i reati gravi. Giustizia è stata fatta nei confronti di un uomo che ha sempre operato nell’unico e esclusivo interesse del bene comune e della difesa dei più deboli»– hanno dichiarato gli avvocati Andrea Dacqua e Giuliano Pisapia.
“Non a caso – aggiungono – nelle nostre arringhe parlavamo di «accanimento non terapeutico» nei confronti di Lucano e di uno stravolgimento dei fatti anche dovuto a un uso distorto delle intercettazioni. Oggi è stata ristabilita la verità dei fatti riguardo un uomo che ha sempre agito in maniera disinteressata. Esiste un giudice anche in Calabria».