“Nei prossimi giorni ci attende una tappa significativa della vita democratica del nostro Paese: il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025. È un appuntamento che ci interpella non solo come cittadini, ma anche, per chi vive la fede cristiana, come custodi del bene comune e responsabili della speranza che ci è affidata. La partecipazione consapevole al voto non è mai un gesto neutro: è espressione di civiltà matura, atto di fedeltà al progetto condiviso di società, forma alta e concreta di quella carità sociale che si fa impegno per tutti”. A sostenerlo, in una nota sull’importanza del voto referendario dal titolo “Partecipare è custodire la democrazia”, è il vice presidente della Cei e vescovo di Cassano allo Ionio monsignor Francesco Savino.
“Andare a votare, informati e consapevoli – prosegue – è una forma concreta di carità che costruisce. I cinque quesiti referendari interrogano le fondamenta stesse della nostra convivenza civile e il modello di società che intendiamo costruire insieme. Non spetta a noi, né è opportuno, indicare come votare, ma è nostro dovere morale, come pastori e come cittadini, esortare ciascuno a non sottrarsi all’appuntamento con la propria coscienza e con la comunità. In un tempo in cui cresce la tentazione dell’astensione strategica, occorre dire con chiarezza che l’astensione non è mai neutra. È un gesto che, pur legittimo dal punto di vista formale, può diventare una forma di ‘impotenza deliberata’, un silenzio che svuota la democrazia del suo significato partecipativo”.
“Mi unisco – afferma monsignor Savino – a quanto già espresso da altri pastori: non si tratta di sostenere una parte politica, ma di custodire una visione alta e generosa della democrazia, come spazio comune di corresponsabilità e come bene fragile da proteggere ogni giorno. Oggi più che mai è necessario riattivare la consapevolezza che la vita pubblica non è un bene garantito dall’alto, ma una pratica quotidiana che si nutre del coinvolgimento di ciascun cittadino. Il referendum, proprio perché ci chiama a esprimerci direttamente su disposizioni legislative che toccano nodi vitali della nostra coesistenza civile, come il diritto al reintegro per i lavoratori licenziati ingiustamente, la tutela nelle piccole imprese, il contenimento della precarietà contrattuale, la sicurezza negli appalti e, non da ultimo, l’accesso alla cittadinanza per chi vive stabilmente nel nostro Paese, rappresenta uno dei rari momenti in cui la sovranità popolare si manifesta senza intermediazioni.
In particolare, il quesito relativo alla cittadinanza – sottolinea il vice presidente della Cei – interpella la nostra coscienza di credenti e di cittadini: ci chiede se sia giusto mantenere barriere temporali troppo lunghe per il riconoscimento giuridico a persone che da anni vivono, lavorano, studiano e partecipano alla vita delle nostre comunità. Non si tratta di una concessione, ma del riconoscimento di una realtà già in atto”.