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giovedì, 28 Marzo, 2024
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Quando un sussurro si trasforma in urgano: Social scatenati per Zalone a Sanremo “infame a largo raggio”

I calabresi, si sa, sono permalosi. Ed è ancora viva la ferita della pittoresca rappresentazione della Calabria di fine anni Sessanta nella fiction “La sposa”. Da un’indignazione all’altra, ieri si sono sentiti offesi dallo sketch di Checco Zalone, superospite del festival di Sanremo che ha inscenato una versione gender della fiaba di Cenerentola ambientandola in una landa calabra tamarrissima, sottolineata (stavolta sì) da un ottimo dialetto (sebbene catanzarese, che con i suoi suoni aspirati è quello più facile da enfatizzare comicamente oltre che diversificare dal siculo).

Intanto l’idea non è originale: incursioni gay nella storia della fanciulla con la scarpetta di cristallo le aveva già fatte il film Disney con Camilla Cabello, dove la magica Smemorina è un omosessuale vestito di paillettes. Nella gag di Zalone invece la fata è tal Fiorenza di Cosenza e il protagonista della storia è il viado brasiliano (ma residente in Calabria) Oreste, che si lascia intendere faccia il mestiere più antico del mondo con un target di clienti sepolcri imbiancati, che di giorno sono serissimi padri di famiglia e di notte amano provare emozioni diverse. Della stessa tendenza è il principe della vicenda, che alla fine, rompendo i tabù, disobbedisce al severo padre impaziente di vederlo interessato a uno “sticchiu” qualunque e decide di vivere l’amore con Oreste.
Nonostante gli squilli di tromba di Amadeus, la scenetta è la solita cafonata di Checco Zalone: che non sia un lord non è notizia dell’ultima ora. Parolacce, doppi sensi e volgarità sono la cifra della sua rustica comicità e questo triviale siparietto non fa sensazione, anzi è una conferma per i tanti fan che hanno reso i suoi film campioni d’incassi. Ma ha toccato la Calabria, e apriti cielo. Secondo i telespettatori di queste latitudini sono stati oltraggiosi il riferimento alle donne ignare di depilazione (in realtà questo riferimento era soprattutto alla virilità mistificata di Oreste), le citazioni folk di ‘nduja e soppressata con evocazione omosex, l’atmosfera di trionfo terrone da Cristo si è fermato a Catanzaro, e in generale l’aver usato come catalizzatore di risate cavernicole proprio questa regione. Ma il barese Zalone è lui pure un terrone e dal palco dell’Ariston lo ribadisce con orgoglio. Ai calabresi non basta come attenuante: perché noi e non voi pugliesi, o i lucani, o i campani? Forse perché, a carretto della “Sposa”, è un momento trendy per la Calabria e come location di bestialità varie funziona alla grande.
Amadeus va a nozze e si gode la polemica fasulla: da giorni, a favor di ascolti, sta costruendo ad arte la suspence attorno a uno scandalo annunciato che in realtà non esiste – e con uno come Zalone non potrebbe: è assurdo l’accostamento all’assalto lubrico di Benigni alle cosce della Carrà…l’oro col piombo davvero.
Le critiche a una fiction ci stanno tutte se ci si fregia di etichette d’autore e poi si scivola in errori imbarazzanti. Ma qui il tema è cabaret di bassissima lega. Disonori non se ne vedono, né accanimento locale. E fuori da ogni snobismo, ieri sera Zalone ha fatto anche ridere (il rap “Poco ricco” è largamente superiore alla maggior parte delle canzoni in gara al festival).
E’ stato grossier, come lo conosciamo da sempre, e, Calabria a parte, la cosa più comica sembra il dissenso di quanti lo hanno tacciato di omofobia e razzismo.
Insomma Checco è stato infame a largo raggio. Perché, nell’ordine: ha identificato le trans nello stereotipo di lavoratrici del sesso, ha ridicolizzato meridionali (quindi se stesso) e stranieri, ha fatto credere, in prima serata e durante la trasmissione più vista d’Italia, che le donne calabresi siano zitelle pelose. Inoltre ha massacrato la sacra “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini contaminandola con le inconfessabili gioie dei segreti “uomini sessuali” che vanno a trans. Blasfemia pura, da Reggio a Rocca Imperiale.
L’involontario umorismo di questo corale sussulto di calabresi e gay non rende meno paradossale l’altro grande filone di critica verso la performance di Zalone. Ovvero che non si possa più fare satira cretina utilizzando luoghi comuni e banalità. Nei mesi della lotta per una legge contro l’omotransfobia, perpetuare certi aspetti caricaturali delle categorie oppresse è ritenuto dannosissimo perché, anziché sbeffeggiare gli oscurantismi, contribuirebbe alla loro resistenza al cambiamento. Il senso di questa osservazione è: invece di giocare facile sulla presa istintiva dei cliché, iniziamo a inventarci qualcosa di nuovo per produrre commedia e provare a far riflettere. Ma, va ricordato, stiamo sempre parlando di Checco Zalone, quindi siate buoni.
Suscitare clamore era esattamente quello che voleva la direzione artistica del festival invitando Zalone. Essere riusciti a sollevare un polverone dal nulla cosmico è la prova di quanto ci abbiano ridotti alla frutta la pandemia e le quarantene, fossilizzandoci davanti a schermi e tastiere dove un sussurro si trasforma subito in uragano. Nel cancan attorno alle calabresi baffute, nessuno ha però notato come si era aperta l’esibizione di Zalone, che ha fatto battutine poco cavalleresche all’indirizzo delle partner femminili di Amadeus. Donne non giovani o fisicamente non atomiche, tanto che il comico ridacchiando allude al fatto che siano state imposte al conduttore dalla moglie. Invece, osserva sagacemente Checco, l’uomo medio avrebbe gradito di più una “scema” – e, va da sé, bona. Amadeus replica con tono da direttore dello zoo, spiegando didascalicamente che si è pensato di mettere in evidenza altre doti femminili, come se in una donna la bellezza fosse equazione di stupidità, e viceversa.
Il pubblico dagli schermi e dai social intanto ha crivellato di frecciate maligne e a sfondo razzista la co-conduttrice Lorena Cesarini, eccessivamente emotiva e soprattutto colpevole di non avere forme esplosive ma soltanto una limpida bellezza naturale. Se questo non ha fatto scalpore, i borborigmi di Zalone ce li meritiamo tutti.

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Isabella Marchiolo

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