Tre condanne, una assoluzione e una serie di prescrizioni. E’ questo il bilancio della sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, emessa nell’udienza di oggi, 4 aprile 2023, nell’ambito dell’inchiesta “Mala Sanitas”, mirata ad accertare una sistematica manomissione delle cartelle cliniche per celare errori e negligenze nel reparto di Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. In secondo grado, sono stati condannati il ginecologo Alessandro Tripodi, la cui pena è stata ridotta a 2 anni e 6 mesi di reclusione (4 anni e 8 mesi in primo grado), e l’ex primario del reparto di Ostetricia e ginecologia Pasquale Vadalà, anche per lui pena riformata in 3 anni di reclusione (4 anni e 9 mesi in primo grado), per aver manipolato la cartella clinica di una partoriente il cui neonato è deceduto dopo poche ore di vita a causa di una meningite fulminante e sepsi precoce.
L’unica condanna confermata, a 2 anni e 3 mesi di reclusione, è quella dell’anestesista Luigi Grasso. Per Vadalà è stata confermata l’interdizione dei pubblici uffici per la durata di cinque anni, mentre agli altri imputati è stata revocata l’interdizione perpetua, legale e temporanea. La Corte d’Appello ha dichiarato non doversi a procedere nei confronti di altri imputati, già condannati in primo grado con pene 2 a 6 anni di carcere, per avvenuta prescrizione nei rispettivi capi di imputazione. Si tratta di Maria Concetta Maio, Daniela Manuzio, Antonella Musella, Filippo Saccà, Massimo Sorace.
Significativo è il risultato processuale conseguito dalla ginecologa Daniela Manuzio che, tra assoluzione e proscioglimento per prescrizione, ha ottenuto la piena riforma della condanna a sei anni e due mesi di reclusione comminatale in primo grado. La Manuzio, difesa dagli avvocati Andrea Alvaro e Giuseppe Marvelli (sostituto dell’avvocato Natale Polimeni) aveva riportato in primo grado la condanna più severa, anche in ragione del numero dei reati che le erano stati contestati, condanna detentiva cancellata adesso interamente.
Assoluzione “perché il fatto non costituire reato” nei confronti di Giuseppina Strati. Gli imputati rispondevano di falso ideologico e materiale, di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri nonché di interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Per i pm, all’interno del reparto sarebbe esistito un sistema di omissioni e coperture datato nel tempo, finalizzato a nascondere colpe mediche (che porteranno ad aborti e decessi dei feti). Secondo quanto emerso dall’indagine, uno dei medici avrebbe praticato un aborto all’insaputa della sorella, sospettando che il figlio della stessa potesse nascere con alcuni problemi. Tutti gli imputati sono stati condannati al risarcimento, in solido insieme all’Azienda Ospedaliera, delle spese processuali, liquidate in euro 2mila ciascuno. Revocate diverse statuizioni civili.