Associazione per delinquere, corruzione e atti contrari ai doveri d’ufficio. Con queste ipotesi di reato la Procura della Repubblica di Vibo Valentia ha chiesto il rinvio a giudizio per quindici persone accusate, a vario titolo, nell’ambito di un presunto sistema corruttivo di pratiche Inail, “facilitate” in cambio di denaro o altri benefici. L’indagine, coordinata dal procuratore Camillo Falvo e condotta dal sostituto Filomena Aliberti, ipotizza l’esistenza di una rete organizzata che avrebbe agito tra il 2016 e il 2020, operando all’interno e attorno alla sede provinciale dell’Inail.
Il gruppo, secondo l’accusa, avrebbe gestito un sistema di pratiche infortunistico-previdenziali pilotate, alterando l’esito di valutazioni mediche e amministrative in cambio di somme di denaro, ricariche Postepay o regalie. Il procedimento, che ha tratto origine da una serie di controlli incrociati sulle pratiche infortunistico-amministrative dell’Inail, mira a chiarire se esistesse un sistema corruttivo organizzato o se si tratti di episodi isolati privi di coordinamento.
Sarà ora il giudice dell’udienza preliminare a valutare la fondatezza delle accuse e la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura. L’udienza preliminare è stata fissata per l’11 dicembre prossimo davanti al Gup del Tribunale di Vibo Valentia.
Secondo la ricostruzione della Procura, la rete avrebbe operato attraverso ruoli distinti: intermediari, medici e dipendenti pubblici in grado di accelerare o alterare le istruttorie delle pratiche.
Denaro e favori sarebbero serviti – sostiene l’accusa – a ottenere liquidazioni indebite, aumenti dei punteggi di invalidità o l’assegnazione di indennità non spettanti. Il gruppo avrebbe mantenuto, sempre secondo gli inquirenti, una struttura stabile e collaudata, in grado di operare con continuità nel tempo e di intercettare richieste da parte di cittadini o imprese disposte a pagare pur di ottenere vantaggi economici.
Tutti gli indagati respingono le accuse e, tramite i rispettivi legali, si dichiarano pronti a dimostrare la propria estraneità ai fatti.