Lo ‘stress da Covid’ dell’imputato, sul quale la difesa ha insistito molto, non è sufficiente per concedere le attenuanti generiche e, quindi, uno sconto di pena. E’ quanto ha sostenuto, nel processo bis davanti alla suprema corte il sostituto procuratore generale della Cassazione, Simonetta Ciccarelli, ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Antonio De Pace, l’infermiere della provincia di Vibo Valentia che il 31 marzo 2020 uccise la fidanzata, la studentessa 27enne di Favara (Agrigento), Lorena Quaranta, a Furci Siculo, nel Messinese.
L’omicidio della ragazza è avvenuto, in piena pandemia, nell’abitazione che la coppia condivideva per lavoro e studio dato che Lorena stava completando il corso di laurea in medicina. De Pace, secondo quanto ha accertato il processo, ha ucciso la fidanzata, strangolandola e colpendola al volto con una lampada, dopo una lite dai contorni mai chiariti e del tutto improvvisa dato che i due, come è stato ricostruito, avevano visto assieme nel letto un film su Netflix prima che avvenisse l’omicidio. La difesa aveva insistito a lungo sulla circostanza che l’imputato aveva manifestato un forte stress per il Covid tanto che, la sera prima, aveva pensato (in maniera velleitaria perchè gli spostamenti non erano consentiti) di rientrare nella casa dei genitori temendo di essere contagiato dato che la fidanzata pare accusasse dei sintomi influenzali.
La Cassazione, pur stabilendo la colpevolezza definitiva, aveva disposto un secondo giudizio in appello per motivare l’eventuale concessione delle attenuanti generiche legate a questi elementi. Tesi che è stata bocciata tanto che la sentenza di condanna al carcere a vita è stata confermata e la vicenda è approdata ancora davanti alla suprema corte che, in serata, emetterà la sentenza.