Nicola Gratteri, Giuseppe Conte e Leonardo Cesa. Sono anche loro citati nell’ultimo libro di Bruno Vespa, ‘Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)’. I loro nomi sono, infatti, associati ad un episodio che potrebbe aprire nuovi inquietanti squarci sui giorni convulsi che, in una fase molto delicata della vita politica e istituzionale italiana, fecero abortire il ‘Conte ter’.
Caduto il secondo esecutivo di Giuseppe Conte, quello a trazione Pd e MoVimento 5 Stelle, intorno all’avvocato pugliese si creò un fronte molto attivo per ottenerne la riconferma a palazzo Chigi per la terza volta. Ebbe inizio quella che giornalisticamente venne definita la caccia ai parlamentari “responsabili”.
In quel frangente Bruno Vespa scrive che Lorenzo Cesa- il segretario nazionale Udc- decise di dire no alle offerte di Conte perché questi si rifiutò di passare prima per una crisi di governo, considerata da lui invece indispensabile per giustificare il sostegno del suo gruppo.
In particolare nel libro si legge “Cinque giorni dopo, all’alba di mercoledì 21 gennaio uomini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per ordine del procuratore Nicola Gratteri, perquisivano l’abitazione romana di Cesa contestandogli il reato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso. Subito dopo la perquisizione, il segretario dell’Udc ricevette la visita di un importante agente segreto che conosceva da tempo e che gli avrebbe detto, più o meno: non preoccuparti, questa storia si risolve, ma cerca di comportarti con saggezza”.
Dato per scontato che i fatti riferiti siano stati assunti di “prima mano” dal noto giornalista le domande si accavallano: Chi era l’agente dei servizi? Per conto di chi operava? Chi doveva tutelare? Perchè viene tirata in ballo l’inchiesta antimafia del procuratore Gratteri?
