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domenica, 28 Aprile, 2024
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L’arcivescovo: “Perdonaci, non abbiamo fatto abbastanza, quella mano l’abbiamo armata anche noi”

Applausi e commozione, in piazza del Gesù a Napoli, per la salma di Giogiò Cutolo, il musicista di 24 anni ucciso da un ragazzino di 17 anni. A celebrare i funerali l’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia, calabrese di Satriano (CZ) che con la sua omelia ha scosso le coscienze dei presenti.
Non vorrei essere qui oggi. Non vorrei essere qui ad accompagnare l’ennesimo giovane figlio di Napoli, ucciso senza alcun motivo dalla mano di un altro figlio di questa città. Non vorrei essere qui non perché voglia sottrarmi al dolore immenso dei genitori di Giovanbattista e di tutti coloro – parenti, amici, compagni – che lo piangono con il cuore spezzato e straziato dall’angoscia, dall’incredulità, dallo smarrimento. Non vorrei essere qui perché semplicemente avrei voluto che non ce ne fosse il motivo”.

“E più che parlare di Giovanbattista – ha aggiunto- avrei voluto parlare con Giovanbattista, più che sentir parlare di lui, della sua bravura, della sua arte e voglia di vivere, avrei voluto toccarla con mano, magari ascoltando un concerto della sua orchestra o una delle sue magnifiche composizioni, come quella che il suo papà mi ha fatto ascoltare qualche giorno fa. Ma, purtroppo, nessuno di noi ha il potere di cambiare la realtà, nessuno di noi può far tornare indietro le lancette della storia e del tempo, fermando quella mano giovanissima ma già deviata, come purtroppo tante volte accade con i ragazzi di questa città”, ha proseguito il vescovo di Napoli. Perdonaci tutti Giogiò, perché quella mano l’abbiamo armata anche noi, con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – che camminano armati, come in una città in guerra”.
Quella di don Battaglia è un’omelia molto forte, sentita, al punto che sono le sue parole con molta probabilità a causare un lieve, passeggero malore nella madre di «Giogiò». «Sono ancora troppi i silenzi che fanno male e nessun adulto di questa città può dirsi assolto: anche io sono colpevole», accusa l’arcivescovo. «Fratello e figlio mio, prega per questa tua città ferita, per questa nostra amata Napoli che come una madre negligente non ha saputo custodirti e difenderti – dice rivolgendosi alla bara in cui sono composte le spoglie del ragazzo ucciso -. Giovanbattista, figlio di Napoli, accetta la richiesta di perdono della tua città! Accetta le scuse – forse ancora troppo poche – di coloro che si girano ogni giorno dall’altra parte, che pur occupando incarichi di responsabilità hanno tardato e tardano a mettere in campo le azioni necessarie per una città più sicura, in cui tanti giovani, troppi giovani perdono la vita per mano di loro coetanei!».

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Battaglia punta il dito contro chi difende il suo «posto al sole» e dice: «Quella mano l’abbiamo armata anche noi». «Se qualcuno un tempo ha detto “fuggite”, e qualcun altro oggi dice “scappate”, io vi dico: Restate! Restate! E operate una rivoluzione di giustizia e di onestà! Restate e seminate tra le pietre aride dell’egoismo e della malavita il seme della solidarietà, il fiore della fraternità, la quercia della giustizia!». «Io sono certo che questo non è un sogno o l’invito utopistico di un vescovo: questo è e sarà grazie a noi, grazie a Giogiò, grazie ai giovani onesti e sani di questa città il futuro che il Signore sta preparando per Napoli», ha proseguito il vescovo. «Un futuro in cui nessuno sarà lasciato indietro, in cui ogni figlio di Napoli sarà figlio di tutti – ha concluso – e per tutti sorgerà un sole nuovo, un’alba nuova, una nuova primavera di speranza».
E, rivolto alle istituzioni, conclude: «Disarmare Napoli, amare Napoli, educare Napoli».

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