(Adnkronos) – Un'Italia nel guado, immortale e ferma, un Paese che invecchia – con una forza lavoro sempre più anziana e sempre meno imprenditori – e cerca (magari nel posto fisso) quella stabilità che lo scenario sociale e quello internazionale non riescono a darle. Perché – parola del Censis – "siamo entrati in un'età selvaggia, un'età del ferro e del fuoco, di predatori e prede, in cui la violenza prende il sopravvento sul diritto internazionale e il grande gioco politico cambia le sue regole, privilegiando ora la sfida, ora la prevaricazione illimitata". Leggendo il Rapporto 2025, come sorprendersi allora se, in mezzo a tanta confusione, quasi un italiano su tre "condivida ormai una convinzione inaudita", e cioè "che i regimi autocratici siano più adatti a competere nel nuovo mondo"? La seduzione dell'uomo forte sembra insomma riaffacciarsi pericolosamente, a distanza di un secolo (se mai è scomparsa) di nuovo sostenuta da uno scenario incerto, con pochi punti di riferimento e pochissima fiducia nel futuro. Il Censis segnala come in questo scenario "non stupisce che quasi la metà degli italiani (il 46,8% ma la percentuale sale al 55,8% tra i più giovani) sia convinta che l'Italia non abbia davanti a sé un futuro all'insegna del progresso. O che il 38,7% consideri le democrazie inadeguate a sopravvivere nell’età selvaggia, quando a contare sono la forza e l’aggressività, anziché la legge e il diritto". Il futuro, in ogni caso, non va di moda in questa "età selvaggia" che brucia le sue risorse nel presente e a chi verrà lascia – con una dinamica "destinata a sprigionare i suoi effetti nel medio e lungo periodo" – "la crescita vertiginosa dell’indebitamento delle economie avanzate, che le rende fatalmente più fragili e vulnerabili". Il Rapporto snocciola le cifre di una crescita inarrestabile (con l'Italia non più sola fra i 'cattivi') destinata a restringere le prospettive politiche del futuro, perché – osserva il Censis – "i governi degli Stati debitori non solo non potranno abbassare le tasse (obiettivo sempre promesso dagli Stati fiscali e puntualmente disatteso), ma saranno sempre più costretti ad adottare politiche di rigore nei conti pubblici, arrivando a un progressivo ridimensionamento del welfare". Peraltro il declino di questo sistema di assistenza e servizi – una delle più grandi conquiste del Novecento – potrebbe essere visto come "un fenomeno storico, e come tale non imperituro, bensì suscettibile di cambiamenti nel corso del tempo: può nascere e svilupparsi, ma anche estinguersi". "Ma senza welfare le società diventano incubatori di aggressività, e senza pace sociale le democrazie vacillano" torna ad ammonire il Rapporto. Nel nostro Paese, peraltro, il fardello del debito è già così pesante che nell'ultimo anno il Tesoro "ha pagato interessi per 85,6 miliardi di euro, corrispondenti al 3,9% del Pil: il valore più elevato tra tutti i Paesi europei, fatta eccezione per l’Ungheria (4,9%)". Cifre che direbbero poco se non fossero "largamente superiori ad altre voci della spesa pubblica che sarebbero strategiche, come l’intero ammontare degli investimenti pubblici (pari nel 2024 a 78,3 miliardi di euro), la spesa per l’istruzione (76,5 miliardi), per i servizi ospedalieri (54,1 miliardi), per l’ordine pubblico e la sicurezza (37,1 miliardi)". "Fra tutti i Paesi membri dell’Unione europea, l’Italia finora è l’unico (insieme all’Ungheria) a spendere più per gli interessi sul debito che per gli investimenti" si segnala. E a questo peso si accompagna – osserva il Censis – un "lungo autunno industriale" con il calo quasi ininterrotto della produzione, in cui spicca – segno dei tempi – solo il +31% registrato in questo 2025 dalla fabbricazione di armi e munizioni. La trasformazione del modello sociale (meno giovani, lavoratori senza certezze, anziani più 'impauriti') impatta in modo particolare sulla dinamicità del sistema economico che ha perso in venti anni quasi 600 mila imprenditori: ancora più preoccupante è il fatto che nella fascia sotto i trent'anni i titolari di impresa si siano quasi dimezzati (-46% sul 2004), mentre in parallelo le imprese più piccole scomparivano rapidamente. Non solo, chi ha un lavoro dipendente – soprattutto nel privato – ammette di non dare il massimo, per carenza di stimoli, disimpegno, disillusione. E' un'Italia che esibisce la sua disaffezione nelle scelte pubbliche (si va alle urne sempre di meno, si scende poco in piazza, con l'eccezione delle proteste per la Palestina) e crede sempre meno alla politica: il Censis parla di un ribaltamento dei ruoli nel tradizionale rapporto tra élite e popolo, con la prima che vive questa fase con sgomento mentre per i cittadini "non è scattato l'allarme rosso: l'apocalisse può attendere". Nel frattempo, mentre il mondo è affacciato sul 'Grand Hotel Abisso', gli italiani cercano "momenti di piccola felicità", consolandosi con piccoli piaceri, come il turismo esperienziale, indulgendo alla gastronomia e concedendosi una "vita sessuale molto intensa", almeno per alcuni. Aspettando l'apocalisse prossima ventura, ci si affida insomma all'alchimia dei godimenti semplici" ai piaceri dell'ordinaria quotidianità". Come conclude il Censis, con un barlume di speranza, è "un modo vitale, in definitiva, di stare al mondo nel nuovo mondo" . (di Massimo Germinario)
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Italia vecchia e immobile, nell”Età selvaggia’ smarrisce la strada del futuro: il rapporto Censis
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