Secondo i dati del sondaggio condotto tra marzo ed aprile scorsi nelle strutture ospedaliere della regione dalla Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, l’83% dei posti letto dei reparti di Medicina interna degli ospedali calabresi è attualmente in “overbooking” e quasi il 100% dei nosocomi denuncia carenze croniche di personale. E questo mentre un quarto dei ricoveri potrebbe essere evitato con una migliore presa in carico dei servizi sanitari territoriali e se solo si facesse un po’ più di prevenzione. Nelle medicine interne, riporta la survey, si può dire che la sottoutilizzazione dei posti letto rappresenti un fenomeno inesistente: nessuna delle unità operative ha un tasso di utilizzo inferiore al 50% e nessuno tra il 51 e il 70%. Ma mentre il 17% dei reparti occupa tra il 70 e il 100% dei posti letto a disposizione, l’83% conta oltre il 100% dei letti occupati, con pazienti assistiti su una lettiga in corridoio, con un solo separé a garantire la loro privacy. Ad acuire il tutto c’è poi la carenza di personale, riscontrata quasi nel 100% dei casi. Pochi letti e ancor meno personale. Una situazione che potrebbe essere un po’ più gestibile se solo si potessero evitare i ricoveri impropri, quelli frutto di una difficoltà di presa in carico dei servizi territoriali, incentrati in larga parte sulla rete degli studi dei medici di famiglia, anche loro sempre meno numerosi e con un numero in eccesso di pazienti. Mediamente un ricovero su quattro potrebbe essere evitato con una rete di assistenza territoriale più adeguata.
Discorso analogo per la mancata prevenzione. Stili di vita scorretti, bassa aderenza agli screening, scarse coperture vaccinali, unite al più basso finanziamento pubblico d’Europa per la prevenzione. Così un quarto degli assistiti finisce in ospedale quando avrebbe potuto evitarlo. Nei reparti, infatti, il 22% dei ricoveri è dovuto alla scarsa prevenzione. La riforma della sanità territoriale arranca. E la percentuale di chi va a casa con l’assistenza domiciliare integrata attivata è salita al 33%, ma c’è anche un altro terzo che torna a casa senza servizi di presa in carico. Riguardo la soluzione possibile, con le nuove case e gli ospedali di comunità, prevale un mix di speranza e scetticismo. Le nuove strutture dovranno aprire i battenti entro giugno 2026 per non perdere i due miliardi del Pnrr. A documentarlo è la seconda parte dell’indagine. Fulcro della riforma dovrebbero essere le Case di comunità, maxi ambulatori dove dovrebbero lavorare in team medici di famiglia, specialisti ambulatoriali delle Aziende sanitarie e altri professionisti della salute. Strutture dove, oltre ad essere visitati, i pazienti dovrebbero pure eseguire accertamenti come Ecg e ecografie. Per il 67% dei medici le Case di comunità potranno effettivamente ridurre il numero dei ricoveri, ma bisognerà vedere come verranno realizzate. L’83% dei medici dà una risposta simile rispetto agli ospedali di comunità a gestione infermieristica. Per il 16% degli interpellati, invece, dalle Case di comunità non arriverà alcun beneficio. Tra sovraffollamento dei reparti e carenze di organico, non ci si deve infine stupire, si afferma nella ricerca, se il 33% degli internisti dichiara di non trovare più tempo per fare ricerca, mentre il 34% ne fa meno di quanto vorrebbe.
“La Calabria rispecchia e amplifica – afferma Desirée Addesi, presidente Fadoi Calabria – molte delle criticità presenti sul territorio nazionale, ma con alcune peculiarità. In stato di emergenza da mesi, il sistema sanitario calabrese raccoglie i frutti amari di anni di commissariamento, piani di rientro e tagli delle spese e del personale sanitario, con la mancanza di almeno 2.500 unità di personale tra medici e infermieri, che hanno reso sempre più fragile sia la rete ospedaliera che quella territoriale. Il personale medico che ha resistito continua a lavorare a ritmi e modalità massacranti, a discapito della qualità dei servizi. Uno dei rimedi necessari per fare fronte a questa situazione emergenziale è stato l’arrivo di un contingente di medici cubani, che rimarranno in Calabria fino al 2027, due anni in più rispetto alla scadenza iniziale del contratto, prevista per il 2025”.