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domenica, 28 Aprile, 2024
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Il maresciallo Antonio Cerra “suicida” nel giorno della sua testimonianza al processo ‘Petrolmafie’

(di ENRICA RIERA- editorialedonami.it) – Il maresciallo, in servizio presso il Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme, viene trovato senza vita nel giorno in cui avrebbe dovuto testimoniare nel processo definito «Rinascita Scott 2». Per la difesa «non è possibile escludere aprioristicamente alcuna ipotesi». E spunta una lettera anonima, antecedente al decesso e indirizzata alla Gdf, che «preannunciava il suicidio di qualche militare». L’undici maggio 2022 il corpo del maresciallo della Guardia di Finanza Antonio Cerra viene ritrovato senza vita nella casa dei suoi suoceri a Pizzo Calabro, il borgo in provincia di Vibo Valentia, arroccato su un promontorio di tufo. Tutto – dall’«arma nella mano del militare» alle «posizioni del bossolo e del proiettile», fino all’«assenza di segni di effrazione e di colluttazione» – fa pensare a un suicidio. Ipotesi investigativa, che, a seguito delle indagini dei carabinieri e dalla finanza, viene confermata dal pubblico ministero della procura di Vibo, Maria Cecilia Rebecchi.
Perciò a luglio 2023 il pm ha chiesto al giudice delle indagini preliminari di archiviare il procedimento a carico di ignoti. «Alla luce delle indagini esperite volte alla ricostruzione delle circostanze che possano avere portato al decesso di Cerra Antonio, può concludersi che la morte dell’uomo sia riconducibile esclusivamente alla condotta suicidaria posta in essere da costui e, in alcun modo, indotta o comunque istigata da terze persone», si legge nella richiesta di archiviazione. La famiglia del militare, tuttavia, ha deciso di non arrendersi. E nel mese di settembre, tramite lo studio legale Raimondi, ha presentato opposizione alla richiesta della procura, «non potendosi escludere aprioristicamente – è scritto nell’atto di opposizione – né la verificazione di un omicidio, né l’ipotesi di omicidio-suicidio, né naturalmente di istigazione al suicidio».
PRIMA DELLA MORTE
Classe 1970, Antonio Cerra, nato a Catanzaro, si è arruolato il 20 settembre 1991. Dal 21 agosto 2007 ha prestato servizio presso il Nucleo polizia economico-finanziaria di Catanzaro, quale capo pattuglia del gruppo tutela entrate. Il militare «aveva conseguito in carriera – scrive il pm – un elogio, sette encomi semplici e un encomio solenne ed era stato valutato “eccellente” in sede di documentazione caratteristica sin dal 2001, con “apprezzamento e lode” ininterrottamente dal 2008 sino al decesso». I colleghi lo ricordano, si legge negli atti, come «una persona molto capace, preparata», che «aveva l’abitudine di trattenersi oltre l’orario quotidiano lavorativo». Tuttavia «negli ultimi quattro anni era molto stressato per il comportamento della scala gerarchica sia nei suoi confronti e sia verso altri loro subalterni».
Proprio negli ultimi quattro anni Cerra ha seguito personalmente l’indagine “Petrolmafie”. Inchiesta mastodontica della procura antimafia di Catanzaro su uno dei clan più potenti della ‘ndrangheta. Una volta terminata l’attività, nel 2021, su sua richiesta, «per situazioni straordinarie», è stato trasferito presso il Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme. Quando il maresciallo è morto, dunque, non lavorava più a Catanzaro, ma a Lamezia: prima alla Squadra operativa Volante e poi alla posizione di Comandante della sezione operativa. Quell’11 maggio di due anni fa Cerra avrebbe dovuto presentarsi al tribunale di Vibo Valentia per sostenere il controesame degli avvocati degli imputati nel processo “Petrolmafie”. Inchiesta che, tra l’altro, ricostruisce gli affari illeciti della ‘ndrangheta vibonese nel mondo degli idrocarburi e che, a dicembre scorso, ha portato, col processo di primo grado, a oltre trenta condanne, tra cui quelle, rispettivamente a trent’anni, del boss di Limbadi Luigi Mancuso e dell’imprenditore Giuseppe D’Amico, nonché dell’ex presidente della Provincia di Vibo Valentia Salvatore Solano (condannato a un anno). A quell’udienza, però, Antonio Cerra non arriverà mai. Eppure «si era preparato con diligenza» per la deposizione e per rispondere al fuoco incrociato dei legali dei boss.
LE INCOMPIUTE
Per i legali della famiglia di Cerra l’indagine sulla morte del finanziere è monca. Mancherebbero, cioè, alcuni elementi necessari a ricostruire quanto accaduto due anni fa nella casa di Pizzo. «L’assenza di tali informazioni pregiudica oltremodo la ricostruzione suicidaria offerta dall’Ufficio di procura, in assenza peraltro di evidenze scientifiche in ordine alla natura auto o eterodiretta del gesto», è quanto riportato nell’atto di opposizione. Anzitutto, l’archiviazione del procedimento «veniva assunta senza la prova scientifica in ordine alla presenza di tracce di residui di sparo sulle mani del maresciallo Cerra». Curioso che è dell’8 agosto 2022 l’avviso di accertamento tecnico presso i laboratori dei carabinieri del Ris di Messina, alle cui operazioni ha partecipato anche un consulente tecnico di parte, ma «nel fascicolo del pm non si riscontra alcun esito di tali rilevantissime operazioni».
Sempre per la difesa, inoltre, risulterebbero acquisite «poche immagini (…) neanche depositate integralmente» delle telecamere di videosorveglianza installate vicino alla casa estiva del maresciallo Cerra. «Si tratta di accertamenti assolutamente indispensabili rispetto alle investigazioni necessarie per un tale grave fatto» e ancora di «indagini specifiche» che «potrebbero quindi accertare se il Cerra sia giunto presso il portone di casa da solo o in compagnia; se l’immobile al momento del fatto fosse abitato da altri condomini o coinquilini da ascoltare separatamente; se precedentemente o successivamente al registrato ingresso del Cerra presso l’abitazione nello stesso immobile abbia potuto accedere qualche altra persona». Tutti motivi per cui la difesa parla di «vuoti macroscopici», «lacune investigative». E «investigazioni che sembrano rimanere in superficie».
Gli avvocati scrivono anche di «carenze nella ricerca e nell’esame del materiale utile alle indagini». Una volta rinvenuto il pc in uso a Cerra, i legali è stato negato il rilascio della copia informatica di quanto estratto sul dispositivo. Questa «preclusione – è scritto ancora nell’atto di opposizione – inibisce il diritto di difesa, impedendo di conoscere ulteriori profili di criticità vuoi con i colleghi e i superiori gerarchici, vuoi elementi rinvenienti da indagini in corso, rispetto alle quali il militare abbia potuto ricevere minacce o pressioni, compreso quello del processo Petrolmafie». Proprio il processo in cui il maresciallo Cerra avrebbe dovuto rendere testimonianza.

LA LETTERA ANONIMA
Suscitano, in ultimo, interesse alcuni «esposti anonimi» a cui gli atti fanno riferimento. In uno in particolare, redatto successivamente al decesso del maresciallo Cerra e «indirizzato al Procuratore di Vibo Valentia, al Procuratore presso la Procura militare di Napoli e al Comandante provinciale dei Carabinieri di Vibo Valentia, l’estensore dichiara di essere a conoscenza di informazioni utili alle indagini». Tra gennaio e febbraio 2022, per cui prima della morte del militare, una lettera anonima viene anche inviata con posta ordinaria al Comandante generale, al Comandante Interregionale (Palermo) e ai servizi di rappresentanza sindacale Cocer e Coir della Guarda di Finanza. Nello scritto «si preannunciava – rileva il pm – il suicidio di qualche militare».

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