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venerdì, 19 Aprile, 2024
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Il caso del procuratore paraguaiano Marcelo Pecci, la ‘ndrangheta dietro l’omicidio?

Il procuratore paraguaiano di origini italiane si era schierato apertamente contro la mafia calabrese collaborando con colleghi italiani. Tutto si può supporre. Tutto ci sembrerebbe – lo diciamo con orrore – oramai naturale, incluso che un procuratore paraguaiano specializzato nel contrasto al crimine organizzato, al narcotraffico e al riciclaggio di denaro, sia stato assassinato in pieno giorno in una spiaggia caraibica della Colombia. Ma per ordine di chi? Per ordine di quale attuale struttura mafiosa? Per ordine di quale mano criminale? Una mano sudamericana? Paraguaiana? Colombiana? Della ‘Ndrangheta italiana?

Marcelo Pecci, 45 anni, ha pagato con la vita forse per essersi intromesso con la sua professione e la sua etica, di uomo al servizio della legge, negli interessi per niente leciti del sistema criminale, in cui tutto ciò che ostacola i propri interessi deve essere letteralmente tolto del mezzo, immediatamente.
E per arrivare agli assassini, ai mandanti di un massacro che porta l’odore della polvere da sparo delle armi mafiose che hanno eseguito uno dei primi omicidi transnazionali, bisogna rivedere il trascorso professionale della vittima. Bisogna analizzare la sua attività antimafia. Ed è sicuramente questo il percorso che stanno seguendo le autorità impegnate per fare luce su un fatto che ha colpito la società paraguaiana, ma ancora di più a coloro che conoscono i modus operandi delle organizzazioni mafiose: implacabili bulldozer che falciano vite, senza badare alle frontiere, con una calma sorprendente, consapevoli che il loro gesto sarà per loro estremamente utile, non solo per l’ostacolo rimosso con un colpo solo, ma per il messaggio insito in tale azione. Un messaggio diretto drammaticamente ai suoi nemici naturali: gli operatori della giustizia del pianeta.
Questa volta la vittima è un procuratore paraguaiano esperto di mafia, che non si sa come mai ha fatto il viaggio di nozze in Colombia praticamente senza scorta, sporgendo il fianco a chi voleva mettere fine alla sua vita.

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Sicuramente chi ha premuto il grilletto, sotto un sole radiante e alla presenza di bagnanti, eseguiva alla lettera degli ordini ben precisi supportati da una logistica criminale molto efficiente, essendo, i sicari, anche in possesso di dati confidenziali dell’agenda personale di Pecci.
Solo un’organizzazione mafiosa economicamente potente e estremamente operosa potrebbe realizzare (e con successo), un’azione di questa portata. Perché è chiaro che non è stato un narcos sprovveduto l’esecutore del massacro. Tutto ci fa supporre con certezza, purtroppo, che gli assassini – siano essi paraguaiani o colombiani – erano pezzi di un ingranaggio di una struttura mafiosa molto solida e potente, dotata di capacità economica, di alta professionalità, come si direbbe in Italia, propria delle “menti raffinatissime”.
Può essere la ‘Ndrangheta coinvolta fino al collo in questo attentato? È perfettamente possibile. Molto fattibile, perché non possiamo dimenticare la sua grande incidenza nel narcotraffico sudamericano e viceversa. Al punto che, recentemente, uno dei suoi massimi nemici della ‘Ndrangheta, il magistrato calabrese Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, è stato minacciato di morte, proprio dal Sud-America, per il suo intenso lavoro nel controllare le attività della ´Ndrangheta che, come sappiamo, è strettamente legata ai narcos sudamericani.

Questa dinamica suggerisce un’equazione. Un comune denominatore: Marcelo Pecci si è incrociato in qualche momento nel corso delle sue investigazioni in Paraguay con gli uomini di quell’organizzazione mafiosa italiana, per questioni di narcotraffico, oppure per le numerose operazioni relazionate con il riciclaggio di denaro (non dimentichiamo che Pecci non solo si occupava di trafficanti narcos, ma anche di grandi riciclatori di denaro legati ad attività transnazionali al margine della legge).
L’anno scorso, esattamente a dicembre, Marcelo Pecci di ritorno dall’Italia, dove era stato in contatto con altri giudici per affrontare insieme temi di interesse comune, tra questi quello della potente presenza della ‘Ndrangheta in Paraguay, ha risposto alle domande della stampa locale, interessata alle sue attività fuori dalla sua terra natale.
Dialogando con il quotidiano La Nación ha dichiarato con fermezza che la ´Ndrangheta è un’organizzazione il cui obiettivo primordiale è inserirsi nei vari paesi (del Sud-America), mimetizzandosi negli ambiti finanziari, accademici e che, nella maggior parte dei casi, i suoi membri non hanno antecedenti penali, un dettaglio che garantisce loro totale impunità per muoversi nel paese scelto e fare i loro affari.

A questo riguardo Pecci aveva aggiunto: “La congiunzione di questi fattori fa sì che questa associazione abbia una chiara linea di condotta e che abbia avuto successo nello scenario criminale, soprattutto in tema di traffico di droga. Le particolarità sono quelle già indicate e come ben sappiamo quando si parla di narcotraffico, necessariamente si deve collegare la variabile criminale con il riciclaggio di denaro, che ormai a livello regionale viene considerato il fattore preponderante perseguito da questa organizzazione”. Peci aveva puntualizzato che i membri di questa associazione mafiosa “sono persone con preparazione accademica e gli affari riguardano costosi ristoranti, hotel, per citare alcuni dei settori che gestiscono o amministrano gli esponenti di questa organizzazione, e usano un accurato sistema di comunicazione. Ciononostante, devo sottolineare che la polizia italiana è riuscita a decriptare comunicazioni di alto livello che hanno fornito dei dati precisi e quindi procedere con dei mandati di cattura e con una serie di misure che hanno permesso avere una panoramica molto più chiara sulle componenti, la fisionomia e la dinamica di questa organizzazione”.
Marcelo Pecci aveva riferito che dal Paraguay erano in comunicazione quasi permanente con le autorità italiane, le quali “ci illustrano sui dati più rilevanti nella consapevolezza che è la Procura a indicare la linea dell’investigazione e delle azioni che siano penalmente rilevanti”.
Ad un certo punto ebbe a rimarcare la versatilità della ´Ndrangheta dicendo che “che è preoccupante perché ci troviamo già a combattere nella regione con organizzazioni come il PCC Comando Vermelho e siamo attenti a qualunque tipo di indicatori congiunti che possano mettere in allerta e possano innescare delle vere attività”.
Il pubblico ministero, oggi scomparso, a dicembre del 2021, chiudeva l’anno scagliandosi fermamente contro la ´Ndrangheta, E, fedele a questo principio, nei mesi a seguire, il suo lavoro in diversi casi è stato sicuramente incisivo in linea con gli scambi di informazione con i suoi colleghi italiani. In realtà, sicuramente sono molteplici le cause che hanno influito su questo attentato contro la sua vita. Credo abbia inciso, oltre a qualche precisa investigazione, l’essersi dichiarato pubblicamente un implacabile investigatore contro la ´Ndrangheta, in territorio paraguaiano. Presumiamo che questo insieme di dati contro la sua persona ha reso inevitabile l’omicidio, se dovesse confermarsi la mano di questa struttura mafiosa nell’attentato.

Adesso sia in Colombia che in Paraguay e in tutta la regione si lavora con impegno e senza tregua per arrivare alla testa del serpente che, a colpi di arma da fuoco, come negli anni 90, ha messo fine alla vita di un procuratore antimafia, in quella terra guaranì dove regna il crimine con sorprendente impunità.
Ogni ora che passa diventa vitale per non distanziarci dagli autori materiali e avvicinarci ai mandanti che, come sempre, si celano nelle ombre: invisibili, ma purtroppo presenti (a volte, purtroppo, stanti accanto gli stessi investigatori). Una vera corsa contro il tempo.
(Jean Georges Almendra– antimafiaduemila)

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