Le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro, ma anche lo scompenso tra carichi familiari e vita professionale, e l’insufficienza, o addirittura l’assenza dei servizi per la prima infanzia, condizionano profondamente la vita e il benessere delle madri. A sottolinearlo, Sebastiano Guzzi, Vice Presidente Nazionale Unilavoro Pmi. Non sorprende il fatto che la natalità stia toccando il minimo storico, e il fatto che un’alta percentuale di donne smetta di lavorare dopo la maternità. In Italia, evidenzia l’imprenditore lametino, il 2024 ha registrato un record negativo delle nascite, con soli 370.000 nuovi nati. Una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. Accanto alla suddetta e drastica riduzione della fecondità, si legge nel rapporto, continua a crescere l’età media al parto, che si attesta a circa 32 anni. Dati significativi che fanno certamente riflettere.
Alla base di questo crollo delle nascite, oltre alle motivazioni organiche, ci sono quelle di tipo strutturale, legate alla precarietà sul lavoro, (problemi che frenano e scoraggiano soprattutto i più giovani), all’anzianità del nostro Paese, e sicuramente anche alle politiche incompetenti poiché sono incapaci di far invertire la rotta. Le politiche dello Stato sono inefficienti. Bonus, assegni unici, detrazioni e agevolazioni fiscali, non sono stati in grado di dare una svolta decisiva, di invertire il trend negativo degli ultimi decenni. Le proposte non sono mancate. Maggiore sostegno alle madri lavoratrici per mezzo di incentivi permanenti alle nascite, congedi parentali (meglio retribuiti), migliore accesso agli asili pubblici. Strategie significative ed efficienti che, se attuate, avrebbero riportato l’indice di natalità in positivo. La lista delle aspettative, continua Guzzi, è lunga e molto ambiziosa. Cio’ non significa che bisogna rallentare i tempi e cercare soluzioni alternative. Temporeggiare cercando di risolvere i meccanismi oscuri, complessi, e corrucciati di un sistema univoco non è rispettoso, né degno di un paese civile. Le donne hanno gli stessi diritti dell’uomo, e siccome, oltre al lavoro devono assolvere gli oneri familiari, è necessario che le condizioni di lavoro consentano l’adempimento delle loro funzioni familiari, in modo che venga assicurata, alle madri e ai bambini, una speciale e significativa protezione. Ogni anno milioni di donne italiane svolgono attività di cura non retribuite che restano fuori da statistiche, welfare e diritti, che danneggiano le loro carriere professionali, e che determinano un carico emotivo importante.
Secondo gli ultimi dati rilevati dall’ Organizzazione Internazionale del Lavoro, le donne, in Italia, dedicano in media 5 ore e 5 minuti al giorno al lavoro di cura non retribuito, a fronte di 1 ora e 48 minuti per gli uomini. Il risultato è facilmente deducibile: il 74% delle ore complessive di assistenza familiare ricade quindi sulle madri, spesso, conclude Guzzi, con un impatto diretto sull’occupazione e sulla salute delle donne. Un lavoro silenzioso, incessante che non si misura in ore, ma che occupa uno spazio cognitivo costante. Lo mostrano le indagini di Valore D e i più recenti report di WeWorld.