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martedì, 14 Maggio, 2024
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Gestione della prima ondata Covid a Bergamo: indagati Conte, Speranza, Fontana, Brusaferro, Locatelli, Miozzo

La Procura di Bergamo, a tre anni di distanza dallo scoppio della pandemia di Covid, ha chiuso l’inchiesta per epidemia colposa che, tra febbraio e aprile 2020, ha straziato la Bergamasca con oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell’anno precedente. Gli avvisi di conclusione indagini è stato notificato all’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, al presidente appena riconfermato della Lombardia Attilio Fontana e al suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera, rimasto fuori dal Consiglio regionale nell’ultima tornata elettorale. E ancora. Indagati diversi dirigenti chiave del ministero della Salute, non tutti ex; il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.

Il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno tirato le somme di una indagine con cui si è cercato di far luce e individuare le responsabilità, eventuali o meno, di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita. Al di là del numero degli indagati e dell’eventuale invio di alcuni filoni ad altre Procure, gli accertamenti, che si sono avvalsi di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova e ora senatore del Pd, hanno riguardato tre livelli, uno strettamente locale, uno regionale e il terzo nazionale.

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Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Rsa della Val Seriana e il caso dell’ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore, ma soprattutto la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, e l’applicazione di quello esistente anche se datato che comunque, stando agli elementi raccolti, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid.

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