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venerdì, 31 Ottobre, 2025
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Dai rifiuti alle risorse: la nuova cultura dell’economia circolare secondo De Santoli

(Adnkronos) – Prorettore per la Sostenibilità all’Università Sapienza di Roma, dove è anche presidente del Corso di Laurea in Ingegneria Energetica, Livio De Santoli è una delle voci più autorevoli in Italia sui temi della transizione energetica, dell’efficienza e dell’economia circolare. In questa intervista all’Adnkronos, parla del ruolo delle università come laboratori di sostenibilità, delle sfide del Green Deal europeo, del costo dell’energia e delle opportunità legate alle rinnovabili e alla manifattura verde. Ma soprattutto insiste su un concetto: l’economia circolare non è una tecnica, è una cultura. 
Professore, cosa significa oggi per un’università come la Sapienza essere sostenibile?
 La nostra esperienza è quella di un grande ateneo – più di 100 mila studenti – che sperimenta un nuovo modo di affrontare i temi della sostenibilità. Il primo passo è stato coinvolgere tutti i settori disciplinari: dalla medicina all’ingegneria, dall’architettura alla sociologia, fino all’economia. Solo con un approccio transdisciplinare possiamo capire limiti e potenzialità di questa trasformazione. Ogni corso ora riporta accanto all’insegnamento il “goal” dell’Agenda 2030 a cui contribuisce: così lo studente percepisce la connessione tra la propria disciplina e gli obiettivi globali. La sostenibilità, prima di tutto, è una questione culturale. 
In Europa si discute del pacchetto “omnibus” ambientale e industriale. Come giudica l’evoluzione del Green Deal?
 Mi auguro che si trovi un equilibrio, perché non si può cancellare un lavoro di cinque anni che ha dato all’Europa una leadership mondiale nella decarbonizzazione. Siamo vicini al traguardo 2030 e dobbiamo continuare fino al 2050. Alcuni Paesi sono sulla buona strada, l’Italia un po’ meno, ma non ha alternative: seguire la transizione energetica e digitale è l’unico modo per garantire sviluppo industriale, riduzione dei costi e nuova occupazione. 
Il costo dell’energia resta però un freno per le imprese europee. Come ridurlo?
 L’unica via, anche con l’attuale mercato dell’energia, è sviluppare massicciamente le rinnovabili. Le nuove aste stanno fissando prezzi intorno ai 60 euro per megawattora, poco più della metà della media 2024. Lo sviluppo delle rinnovabili, anche senza riforme di mercato, riduce l’impatto del gas sul prezzo finale. La Spagna, per esempio, ha costi dell’energia inferiori del 40% rispetto all’Italia. E noi abbiamo i costi più alti d’Europa, che a loro volta sono i più alti del mondo. Il problema non è il costo del solare o dell’eolico, ma la lentezza con cui li integriamo nel sistema. Se raggiungiamo il 60% di penetrazione elettrica al 2030, i benefici saranno immediati per famiglie e imprese. 
I data center, che consumano molta energia, stanno nascendo soprattutto al Nord mentre le rinnovabili si concentrano al Sud. Come conciliare le due tendenze?
 Il tema dei data center sarà cruciale. Oggi assorbono circa il 3% dei consumi globali e raddoppieranno entro dieci anni. Concentrano energia laddove le rinnovabili, invece, sono distribuite. Dobbiamo ripensare il modello: la rete va resa più flessibile, con accumuli diffusi e logiche di prossimità energetica. L’intelligenza artificiale può aiutarci a ottimizzare il sistema, ma serve pianificazione: i data center dovranno essere costruiti dove esiste un mix energetico sostenibile, o dotati di fonti rinnovabili proprie. 
L’Italia viene spesso citata come eccellenza nell’economia circolare. È un modello esportabile?
 Sì, e va chiarito che l’economia circolare non è solo gestione dei rifiuti. È un modo di pensare, una cultura che riguarda l’intero ciclo di vita dei prodotti. Certo, abbiamo risultati notevoli nel riciclo di carta, vetro e materiali, ma la vera sfida è cambiare mentalità, a partire dai decisori. L’Italia ha già una tradizione industriale e artigianale che favorisce l’efficienza, e questo può diventare un vantaggio competitivo. Come Paese siamo stati anche pionieri dell’efficienza energetica: già dagli anni ’70 avevamo politiche avanzate. Oggi abbiamo una delle intensità energetiche più basse d’Europa, segno che si può crescere consumando meno energia. 
La disponibilità di materie prime critiche è ormai una questione geopolitica. Come può l’Europa rendersi autonoma? Attraverso un’industria del riciclo di questi elementi?
 Questa è la vera sfida. Possiamo creare una filiera europea delle terre rare e dei materiali critici. Con il gas e il petrolio eravamo totalmente dipendenti; con i nuovi materiali possiamo cambiare paradigma, perché non si “bruciano”: si riutilizzano. L’Italia, grazie alla sua esperienza nel riciclo, può diventare un hub del riuso di componenti strategici. È un’occasione unica per un’industria autonoma e competitiva, che crei valore e occupazione. 
Lei cita spesso le opportunità industriali della transizione. Quali sono i settori su cui puntare ora?
 Abbiamo due grandi fronti: l’eolico offshore e l’idrogeno. Siamo ancora indietro, ma dobbiamo arrivare a 2,1 GW entro il 2030. Le nostre coste profonde richiedono piattaforme galleggianti, una tecnologia che possiamo sviluppare in Italia. Anche la Danimarca sta investendo qui: perché non farlo noi per primi? E poi ci sono le gigafactory per le batterie: Enel, Eni e persino la cinese Byd stanno valutando l’Italia come base produttiva. Questo significherebbe creare occupazione, tecnologia e una vera filiera europea dell’energia.  
—economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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