L’Ufficio studi della Cgia di Mestre, in un’analisi, evidenzia che nel Sud e nelle Isole il numero delle pensioni erogate è nettamente superiore a quello dei lavoratori. Nel 2024, infatti, a fronte di 7,3 milioni pensioni pagate, avevamo poco più di 6,4 milioni di occupati.
La regione con il disallineamento più marcato è la Puglia, che registra un saldo negativo pari a 231.700 unità. A eccezione della Liguria, dell’Umbria e dalle Marche, invece, le regioni del Centro-Nord mantengono un saldo positivo che si è rafforzato, grazie al buon andamento dell’occupazione avvenuto negli ultimi 2/3 anni. Dalla differenza tra i contribuenti attivi (lavoratori) e gli assegni erogati ai pensionati, spicca, sempre nel 2024, il risultato della Lombardia (+803.180), del Veneto (+395.338), del Lazio (+377.868), dell’Emilia Romagna (+227.710) e della Toscana (+184.266).
LECCE, REGGIO CALABRIA, COSENZA, TARANTO E MESSINA LE REALTA’ PIU’ IN «DIFFICOLTA’»
Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2024, la provincia più «squilibrata» d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -90.306. Seguono Reggio Calabria con -86.977, Cosenza con 80.430, Taranto con -77.958 e Messina con -77.002. Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma invece all’elevata diffusione dei trattamenti assistenziali e di invalidità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia gran parte dei paesi del mondo occidentale.
Con sempre più pensionati e un numero di occupati che, tendenzialmente, dovrebbe rimanere stabile, nei prossimi anni – ricorda l’associazione – la spesa pubblica è destinata ad aumentare e nel giro di poco tempo queste dinamiche potrebbero compromettere l’equilibrio dei conti pubblici e la stabilità economica e sociale dell’Italia. Per frenare questa tendenza è fondamentale ampliare la base occupazionale, facendo emergere i tanti lavoratori in nero presenti nel Paese, incrementando, in particolare, i tassi di occupazione dei giovani e delle donne che, in Italia, restano tra i più bassi d’Europa.
Con tanti pensionati e pochi giovani, anche le imprese sono in seria difficoltà. Reperire sul mercato del lavoro figure professionali altamente specializzate è ormai diventata un’impresa quasi impossibile. Ad oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato è la Basilicata (82,7). Significa che ogni 100 dipendenti al di sotto dei 35 anni, ve ne sono 82,7 che hanno oltre 55 anni. Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale è pari al 65,2. Le regioni meno “colpite” da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni sono costrette comunque a fare i conti con questa criticità – sono l’Emilia Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2).

















