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martedì, 8 Ottobre, 2024
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Castrolibero, per il festival “Ailoviù” il fondatore di Lovegiver rompe i tabù sulla vita sessuale dei disabili

Disabilità e sesso, un binomio che dovrebbe essere naturale come per ogni essere umano e invece suscita pregiudizi ed è demonizzato per ignoranza. A Castrolibero se ne parlerà senza filtri per tre giorni, dal 16 al 18 luglio durante il festival “Ailoviù”, promosso dall’associazione “La stanza di Ilaria”, dedicata al ricordo dell’artista cosentina Ilaria Anselmo. Con lo slogan “Cosa può un corpo” attraverso dibattiti, mostre e proiezioni si vogliono abbattere le barriere più dure nella vita delle persone disabili, che non sono architettoniche ma culturali.

Il tema più controverso della rassegna è affidato a Max Ulivieri, life coach e fondatore nel 2013 del comitato Lovegiver, oggi onlus che ha formato in Italia i primi assistenti alla sessualità per disabili. Si chiamano, per la precisione, Oeas, cioè “operatori all’emotività, affettività e sessualità” e acquisiscono la qualifica dopo un corso di specializzazione di 200 ore con psicologi, sessuologi ed esperti di settori specifici, tra cui l’autismo. Premessa del progetto è il diritto sancito dall’Oms di “soddisfare ed esprimere la sessualità e godere della salute sessuale, nel rispetto dei diritti degli altri e in un quadro di protezione contro la discriminazione”, ovvero fuori da ogni coercizione o violenza. Senza equivoci né strumentalizzazioni, è il diritto a una sana sessualità ma non a fare sesso come pretesa – tema annoso della venefica teoria misogina redpill che legittima lo stupro come esigenza e risarcimento di un fantomatico privilegio sessuale femminile.

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Ulivieri, gli Oeas seguono un percorso di formazione ma molti dubbi attorno a questa figura sono legati alla natura della prestazione fornita, che non può essere equiparata a un servizio sanitario. Sesso e corpo appartengono alla sfera più intima della persona e sono connesse ai sentimenti, in che modo una persona retribuita può erogarli senza riecheggiare la prostituzione?

«E’ importante spiegare che la formazione non è l’unico elemento di differenza tra Oeas e sex worker. La differenza più importante è l’obiettivo. Gli operatori mirano a rendere la persona autonoma e capace di vivere la propria sessualità senza supporto. Non in tutti i casi di disabilità è possibile, certo, ma si lavora in questa direzione. I sex worker invece puntano alla fidelizzazione del cliente, vogliono che abbia bisogno dei loro servizi e torni. Nel portare avanti questo progetto io ho pensato alla difficoltà che molte persone disabili hanno di accedere a una dimensione fondamentale dell’individuo, che non è soltanto sessuale. Per questo abbiamo scelto una definizione più ampia, chiamarli assistenti sessuali sarebbe stato riduttivo, riferirsi anche all’emotività e l’affettività è più idoneo. Ai nostri corsi si accede dopo un test preliminare con lo psicologo e il percorso di specializzazione prevede molte ore di studio con esperti delle varie disabilità, in particolare l’autismo. Abbiamo tante richieste da famiglie di persone autistiche».

Attualmente gli Oeas italiani, usciti dal vostro corso, sono otto. Ma non sono figure professionali riconosciute. Su questa strada c’era stato un disegno di legge, che fine ha fatto?

«Nel 2014 l’ex senatore Lo Giudice aveva presentato il ddl 1442, che prevedeva l’istituzione di un albo e il coinvolgimento delle Regioni nei corsi, ma in quella legislatura non si è fatto in tempo a calendarizzarlo. Bisognerebbe che qualcuno lo riprendesse, sperando di concludere l’iter prima di nuovi avvicendamenti parlamentari».

Quali tipi di richieste di assistenza arrivano da famiglie o persone con disabilità?

«Di solito sono di due tipi. Ci sono persone con disabilità così gravi da non riuscire neanche a usare le mani e quindi incapaci di fare autoerotismo, impossibilitate a trovare la propria intimità e seguire i propri impulsi. Ad altre persone invece serve un accompagnamento all’amore verso un’altra persona, che spesso è anche lei disabile. In questo caso l’operatore aiuta la coppia a scoprire la sessualità e viverla insieme. Molti disabili conoscono il corpo unicamente come fonte di dolore, per loro è una prigione dentro cui sono bloccati e non concepiscono l’idea che possa essere anche fonte di piacere e gioia. Vogliamo portarli a capire questo, che un corpo con una disabilità molto grave ha la possibilità di provare piacere e di darlo. Anche ridotta, ma esiste. Quasi nessuno di loro crede sia così, anche perché hanno un’immagine distorta del sesso, appresa magari da televisione o siti porno. Noi tentiamo di farli uscire dal guscio, di offrire strumenti per la loro consapevolezza e autostima. A volte serve anche creare occasioni di socializzazione, favorire l’incontro con eventuali partner».

Detto con chiarezza, fino a che punto si spingono gli operatori? Ci sono rapporti sessuali?

«No, non si arriva mai a questo, al rapporto completo. Tra l’altro porterebbe con sé ripercussioni che non vogliamo. Il disabile potrebbe affezionarsi e soffrire della successiva separazione, perché la relazione con l’operatore è destinata a concludersi ma il desiderio no, quello rimane, destabilizza, crea dolore. In molti casi l’operatore neanche tocca il disabile, il massimo è l’accompagnamento all’autoerotismo. Certo, si tratta di gesti delicati e molto intimi, ma forse lavare le parti intime di qualcuno non lo è? Perché non è considerato disdicevole che un infermiere si occupi dell’igiene intima di un malato e invece dà scandalo che si tocchino i genitali di qualcuno per fargli apprendere come provare sensazioni piacevoli? Credo che questa visione sia molto bigotta»

Gli Oeas sono sia uomini che donne, ma quante richieste di assistenza arrivano per disabili femmine? Salvo eccezioni, di solito le donne disabili, soprattutto molto giovani, hanno un approccio timido al sesso. A differenza dei maschi, sono intimorite da approcci e contatti fisici che siano espressione del desiderio altrui. 

«In maggioranza abbiamo richieste per uomini ma ne abbiamo avute molte anche da donne, una era molto giovane, 19 anni. Credo che sia una questione culturale, connessa al pregiudizio secondo cui l’uomo è biologicamente bisognoso di sesso e la donna priva di pulsioni sessuali».

Dalle famiglie potrebbe esserci reticenza a chiedere assistenza sessuale per una figlia…

«Anche. Ma noi abbiamo avuto esperienze importanti e positive. Una donna di 34 anni con la sclerosi multipla ci ha contattati perché si sentiva ferita nella sua femminilità. Dopo la malattia era stata lasciata dal marito e aveva bisogno di ritrovare fiducia in sé stessa come donna. Un’altra donna che non poteva usare le mani ha chiesto di essere aiutata a gestire i sex toys. In quel caso ad esempio anche l’operatore era una donna, quindi una situazione assolutamente lontana da coinvolgimenti di tipo diverso»

Tra i reati d’odio che saranno normati dal dl Zan ci sono anche quelli legati alla condizione di disabilità. Per lei questa legge va bene così o è tra coloro che vedono rischi alla libertà di opinione?

«Credo che il vero problema di chi pensa questo è che non sanno leggere e vedono cose che non esistono in questo testo. La legge Zan va benissimo così e occorre approvarla perché si smetta di dire ciò che si vuole usando le offese. Per molti certe parole sono scherzi o battute, ma per chi ne è destinatario a volte sono coltellate nello stomaco e a causa di esse si può anche morire».

L’incontro con Max Ulivieri per il festival “Ailoviù” è previsto il 17 luglio. Con lui discuteranno la sessuologa Rosa Spina, la giurista Paola Helzel e Armanda Salvucci, ideatrice della mostra “Sensuability”, proiettata durante i giorni del festival nel centro storico di Castrolibero insieme a “Il vento e le maree” di Ilaria Anselmo e “TetraPride celebrating Life after a spinal cord injury” di Cecilia Sammarco.

Tra gli ospiti della rassegna anche il regista Francesco Cannavà, autore del lungometraggio “Because of my body”,  vincitore di CinemAbility Film Fest, che sarà presentato il 16 luglio nell’anfiteatro di Castrolibero, seguito da un incontro con la partecipazione della psicologa Paola D’Oto. Il documentario, realizzato con il crowdfunding, racconta con immagini reali il rapporto tra gli Oeas e i loro assistiti. Come Claudia, affetta da grave disabilità motoria, che a 21 anni è vergine e vuole conoscere l’amore e il piacere.

Il festival si chiuderà il 18 luglio nell’anfiteatro di Castrolibero con lo spettacolo teatrale “Andura, tra l’aorta e l’intenzione”, di Sergio Crocco con Roberto Giacomantonio per la regia di Francesca Marchese.

 

Isabella Marchiolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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