Si chiama Mario, è un bimbo di due anni affetto da una malattia genetica rarissima. La scienza descrive solo 13 casi e in totale nel mondo se ne contano una trentina. A causa della sindrome CHOPS ha già dovuto subire due interventi al cuore, non cammina e non parla. Per questo motivo i giovani genitori hanno deciso di lanciare una raccolta fondi da destinare alla ricerca di una cura per Mario e per tutti quei bambini affetti dalla stessa malattia.
Lei è Manuela Mallamaci, ricercatrice universitaria di 34 anni, lui è Giovanni Zampella, un poliziotto di 38: sono i genitori di Mario che abitano a Padova, ma divisi tra Palermo, dove lavora la donna e la Calabria, la terra d’origine dove il piccolo si rifugia d’estate.
“Mi chiamo Manuela e sono la mamma di Mario- si legge in un appello sulle pagine “Storie rare” del sito Uniamo.org. Mario è il mio primo e unico figlio. Io sono una ricercatrice nel settore dell’astrofisica e mai avrei immaginato che una tale rarità, quale è Mario, sarebbe entrata nella mia vita. Siamo venuti a conoscenza del nome della malattia rara che affligge mio figlio solo da un paio di mesi, ma sto cercando e chiedendo aiuto e supporto ovunque, affinché ci sia maggiore interesse verso la patologia ultra-rara che ha colpito il mio bambino”.
Le donazioni ricevute, al momento, sono quasi duemila, per un totale di 81.464 euro ma la strada per il raggiungimento dell’obiettivo (300 mila euro) è ancora lontana. Manuela ha scoperto la compagnia californiana RareBase, che porta avanti la ricerca su un farmaco che potrebbe limitare gli effetti della Chops. A loro sono destinati i 300mila euro che la famiglia sta cercando di raccogliere con la piattaforma GoFundMe. “Anche se le chances fossero poche, è sempre un punto di partenza – commenta la donna – La medicina evolve e loro hanno degli strumenti concreti. Ho sentito il dovere di provare a fare qualcosa di concreto. Non mi sono mai potuta permettere il lusso di abbattermi: io e mio marito combattiamo e siamo positivi per il nostro Mario. L’unica speranza è che lui possa un giorno essere più autonomo e possa non soffrire. E poi ogni passo della ricerca sarà non solo per lui, ma per tutti coloro che nel mondo hanno questa sindrome”.