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mercoledì, 24 Settembre, 2025
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Dopo il carcere al 41bis il boss Pino Piromalli (Facciazza) tornato per essere “il padrone di Gioia”

Tra gli arrestati oggi, nell’operazione “Res Tauro”, c’è anche il boss Pino Piromalli detto “Facciazza”, di 80 anni. Il capo cosca di Gioia Tauro era libero dal 2021 quando aveva finito di scontare 22 anni di carcere al 41 bis. Conosciuto con il soprannome di “sfregiato”, Pino Piromalli era stato arrestato nel 1999 dopo sei anni di latitanza. Nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che oggi ha portato al blitz dei carabinieri del Ros, Pino Piromalli è il principale indagato in qualità di capo, promotore e organizzatore. L’inchiesta “Res Tauro”, condotta dai carabinieri del Ros e che ha portato stamattina all’arresto di 26 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare, ha consentito ai pm della Dda di Reggio Calabria di fotografare la ripresa delle attività criminali di Piromalli, dopo 22 anni di carcere. L’intraprendenza criminale dello storico boss non era stata minimamente usurata dalla lunga detenzione. Si assiste, dunque, alla riscrittura di quelle dinamiche criminali interne al sodalizio che, grazie all’opera di ricomponimento di Pino Piromalli, tornava ad essere uno delle cosche più temibili ed autorevoli della ‘ndrangheta. “Facciazza” aveva fin da subito compreso che doveva avviare un’opera di restauro della cosca da lui definita “sta tigre che è Gioia Tauro”. Lo avrebbe fatto, secondo gli inquirenti, attuando un progetto di recupero delle vecchie regole di ‘ndrangheta ed assumendo immediatamente quella posizione di comando che lo rendeva, per come lui stesso ha affermato in un’intercettazione, “il padrone di Gioia”.

Pino Piromalli capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, 80 anni, è uomo noto alle cronache giudiziarie degli ultimi sessant’anni. Pino è figlio di Antonio Piromalli, fratello dei più noti ‘don Mommo’ e ‘don Peppino’, assurti a capi della ‘ndrangheta di Gioia Tauro e sul proscenio criminale nazionale, dopo avere sconfitto in una lunga e sanguinosa faida tra gli anni ’60 e gli anni ’70, gli avversari storici, i Tripodi e i loro ‘satelliti’, spazzati via a colpi di lupara dalla Piana di Gioia Tauro e inseguiti anche nel nord Italia. In quella faida, i Piromalli persero Antonio, macellaio, padre di Pino e di Gioacchino Piromalli (nato nel 32), noto per ricevere chi andava a implorare ‘grazia e giustizia’ nel suo distributore di carburanti, sulla vecchia statale 18 che taglia in due Gioia Tauro. Durante quella faida con i Tripodi, pur perdendo Antonio Piromalli, cresce la forza militare dei Piromalli, alleati con i cugini Molè, ma soprattutto cresce il loro prestigio criminale in Calabria e nel resto d’Italia e d’Europa. Stringono alleanze ferree con i Pesce di Rosarno, con i Mancuso di Limbadi e con i De Stefano, di Reggio Calabria.
Sono gli anni ’70. Nella contrada ‘Lamia’ della vicina San Ferdinando, iniziano gli espropri degli aranceti e dei mandarineti pregiati agli agricoltori e i lavori per la realizzazione del grande porto. Affari miliardari e centinaia di ruspe, camion e betoniere, che scavano, trasportano inerti e cementificano l’area portuale. Un ‘affare’ che i Piromalli gestiscono con ‘equilibrio’ criminale, consentendo alle cosche di tutta la provincia di Reggio Calabria più importanti di partecipare alla divisione della ‘torta’.

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In questo clima, ben presto, Pino Piromalli eredita il ‘bastone’ di comando della ‘famiglia’, retta dal fratello Gioacchino dopo la morte per cause naturali dal capostipite don Mommo, recuperando la scissione sanguinosa con i cugini Mole’. Pino Piromalli viene comunque arrestato nel 1999, dopo sei anni di latitanza, in un’abitazione allo svincolo autostradale di Gioia Tauro dai carabinieri del Ros, allora diretto da Mario Mori, in un’operazione coordinata dall’attuale sostituto procuratore della Cassazione, Alberto Cisterna, al tempo in forza alla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, diretta da Salvo Boemi.
Il carcere – ben 22 anni di reclusione – fino alla sua liberazione, nel 2021. Torna, nella sua Gioia Tauro e riprende i vecchi contatti – come affermano le odierne indagini – ma nonostante le sue cautele, i carabinieri e la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, diretta oggi da Giuseppe Borrelli, stringono il cerchio attorno alle sue presunte attività criminali: dal controllo asfissiante delle attività portuali, con i traffici di cocaina, all’agricoltura.

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