“Sì, ho partecipato all’omicidio di Vittorio Boiocchi. Ho guidato lo scooter, ma a sparare fu Bellebuono”. Così Pietro Andrea Simoncini, 42 anni di Soriano Calabro (VV), ha confessato l’esecuzione dell’ex capo ultrà dell’Inter, avvenuta il 29 ottobre 2022 davanti a casa di Boiocchi un’ora prima del match contro la Sampdoria. Simoncini è il padre della compagna di Marco Ferdico, numero due della Curva Nord finito agli arresti dopo la maxi inchiesta della Dda di Milano sul “sistema criminale” del tifo organizzato di San Siro che, per i pm milanesi, avrebbe avuto un ruolo di primissimo piano nell’organizzazione del delitto di Boiocchi.
E così ieri Simoncini, coinvolto nell’inchiesta della Squadra Mobile coordinata da Alfonso Iadevaia e considerato uno dei due esecutori materiali dell’omicidio, si è seduto davanti al pm Paolo Storari e ha confessato. “Gli ho urlato di non sparare”, sempre le parole di Simoncini. “Ho gridato io quella frase a Bellebuono, ho provato a fermarlo”. Il prezzo per la vita di Boiocchi sarà di 30mila euro, divisi equamente tra il suocero di Ferdico e D’Alessandro. Quest’ultimo, interrogato il 12 maggio dalla gip Daniela Cardamone e difeso dal legale Daniele Barelli, ha scelto di non rispondere.
Simoncini, legato alla ‘ndrangheta, ha confermato, nel verbale davanti al pm, che era lui alla guida dello scooter e che a sparare sarebbe stato Daniel D’Alessandro, detto “Bellebuono”, bloccato in Bulgaria dagli investigatori e poi estradato in Italia. Anche D’Alessandro, interrogato il 12 maggio dalla gip Daniela Cardamone e difeso dal legale Daniele Barelli, aveva scelto di non rispondere. Oltre a D’Alessandro e Simoncini, davanti alla giudice si erano avvalsi della facoltà di non rispondere tutti gli altri arrestati: Marco Ferdico, che era nel direttivo della Nord, e il padre Gianfranco – a cui Beretta presunto mandante, come messo a verbale, avrebbe dato 50mila euro per l’omicidio – e anche Cristian Ferrario, che si intestò lo scooter usato dagli esecutori.