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venerdì, 26 Aprile, 2024
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19 luglio 1992/2020: Dopo 28 anni ancora tanti i misteri sulla morte di Paolo Borsellino

“Borsellino in quei 57 giorni implorava di essere ascoltato e non si trovò il tempo”. Così l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei familiari del giudice Paolo Borsellino, è intervenuto in qualità di parte civile nel processo in corso davanti la corte d’Assise di Caltanissetta, in cui il pm Gabriele Paci ha chiesto l’ergastolo per il latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti delle Stragi del ’92.
Nei giorni successivi all’attentato di Capaci del 23 maggio – in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti delle scorte – l’obiettivo successivo di Cosa Nostra era diventato l’ex ministro Calogero Mannino. “Noi dovremmo capire perchè Totò Riina decise di virare su Borsellino”, ha aggiunto l’avvocato Trizzino alla corte presieduta dal giudice Roberta Serio.
“Nessuno ci raccontò in quegli anni l’attività che veniva condotta da due militari del Ros, sganciati da alcuna guida – ha continuato il legale – e noi abbiamo un giudice che in quei giorni implorava di essere ascoltato e non si trovò il tempo. Dal 24 maggio al 19 luglio voleva parlare con la Procura di Caltanissetta per dare il suo contributo, ma non fu mai ascoltato. Gli danno un magistrato di collegamento, il povero compianto dottor Vaccaro, ma che gli si affianchi un magistrato proveniente da Messina a colui il quale aveva istruito il Maxiprocesso mi sembra…niente, non è stato ascoltato, Paolo Borsellino”.
Il 25 giugno il giudice partecipò a un incontro nella biblioteca di Casa Professa (Palermo), “proprio perchè aveva necessità di dire delle cose”. Nel corso della sua arringa il legale ha citato piu volte il rapporto Mafia e Appalti: “Quel dossier era nelle mani di tutti, ancora prima di finire agli atti del Riesame nel processo su (Angelo) Siino, tanto che non furono omissate le parti che ancora erano sotto indagine, mettendo tutti a conoscenza di questi fatti”, ha aggiunto Trizzino.
Un intreccio che riconduce gli interessi di Cosa Nostra a quelli del mondo delle imprese, richiamando il cosiddetto ‘patto del tavolino’ – l’accordo tra mafia, imprese e politica svelato da Angelo Siino quando iniziò a collaborare con i magistrati – che era in fase di revisione, con l’avanzare di nuove imprese. Secondo la ricostruzione del legale, il rischio che il dossier finisse sulla scrivania di Borsellino, fu una delle ragioni che portarono all’accelerazione del suo piano di morte.
“Nel 2014, in carcere, Riina, nei colloqui con il detenuto Lorusso, parla di Messina Denaro, dicendo ‘i miei insegnamenti non gli sono serviti a nulla, io sono entrato negli affari per spingere ad accordi politici e per far si che chi sarebbe arrivato dopo di me, doveva sottostare a quest’accordo’ e lui invece ‘mette pali della luce e pensa a se stesso’: si riferisce a questo, Riina”, ha aggiunto Trizzino. “Se noi poniamo la strategia stragista come il programma politico di Cosa Nostra – ha concluso – vedrete che i singoli atti sono la specificazione dell’atto politico che è la deliberazione, come ha sostenuto il pubblico ministero”.

(Agi)

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