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Il regista premiato sulla Croisette con “A Chiara”, ambientato a Gioia Tauro

Jonas Carpignano fa il bis a Cannes. Il regista italoamericano, in concorso al festival nella sezione Quinzaine des Realisateurs, con “A Chiara” ha vinto il premio Europa Cinema Label ed è il secondo trionfo sulla Croisette dopo quello (gemello) del 2017 con “A Ciambra”, pellicola prodotta da Martin Scorsese. Non è un caso perché i due film sono legati a doppio filo, costituendo due storie contigue della trilogia ambientata nella piana di Gioia Tauro – tanto che l’opera oggi vincitrice cita la precedente pellicola nella scena in cui la giovane Chiara visita il campo rom dove si svolgeva “A Ciambra” e viene in contatto con Pio, personaggio di quel film, ma c’è pure un crossover con “Mediterranea”, primo capitolo della saga.

Alla notizia del premio esulta in Calabria la comunità gioiese, che durante l’intensa settimana di Cannes ha sempre fatto il tifo con passione per il concittadino “adottivo” Carpignano attraverso messaggi e condivisioni social. Un orgoglio che si estende anche alla conterranea, Swamy Rotolo, che nel film interpreta l’adolescente Chiara, turbata dalla scoperta che il padre è coinvolto in affari al servizio del locale boss ‘ndranghetista. Non professionista come gli altri componenti del cast (tra cui la vera famiglia della quindicenne, nessuno aveva un copione), Swamy ha rivelato talento naturale sul set e fresca spigliatezza nel partecipare al red carpet della Croisette senza imbarazzi.

Il regista lo definisce un giallo, di certo “A Chiara” è un lavoro molto contemporaneo. Come “A Ciambra” ondeggia al confine tra fiction e realtà, girato come un documentario ma con la forza emotiva di una narrazione. Un film di tempra europea, come attesta il riconoscimento ottenuto nella sezione indipendente del concorso di Cannes. E infatti il trentasettenne regista s’inserisce nel filone artistico di una generazione che prende la periferia come punto di riferimento dell’universale. Jonas Carpignano, che dagli Usa ha scelto di vivere a Gioia dove ha diretto alcune edizioni di un festival cinematografico che per selezione e ospiti è un piccolo gioiello (sospeso da due anni causa Covid), si è stabilito in Calabria per farne luogo di osservazione del mondo. Come il catanzarese Alessandro Grande con “Regina”, Carpignano si smarca dagli stereotipi e da quel meridionalismo oriundo desueto che non rende giustizia all’attualità calabrese. Parla di ‘ndrangheta – perché la ‘ndrangheta esiste – ma lo fa rappresentando il percorso di consapevolezza e maturazione di una giovane donna. Chiara vuole sapere, scegliere, alzare la voce. Non ci sta a subire l’omertà imposta dalla sua condizione di duplice svantaggio socialmente acquisito – calabrese e femmina. La sua ribellione diventa metafora del rifiuto dei meccanismi malavitosi da parte della comunità giovanile della Piana. Dove per fortuna i ragazzi non sono caricature arcaiche bloccate dentro in un’iconografia di settant’anni fa ma leggono, usano i media, conoscono il mondo e sono uguali a quelli che incontriamo ogni giorno davanti ai portoni delle scuole. Viene da osservare anche che, a smentire certi beceri campanilismi, raccontare la Calabria riesce benissimo a chi non è nato qui ma ha eletto questa terra a luogo d’ispirazione, amandola e scoprendola con occhi incontaminati dalle incrostazioni di storiografia locale.

Dopo il successo di Cannes aspettiamo “A Chiara” nelle sale, al più presto, con la distribuzione di Lucky Red e Academy Two. E conclusa la trilogia di Gioia Tauro sembra che il regista pensi a ritrovare Swamy-Chiara cresciuta di qualche anno, per scoprire cosa è successo a questa ragazza che ha avuto il coraggio di dire no a un destino deciso dagli adulti.

Isabella Marchiolo

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