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venerdì, 29 Marzo, 2024
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Indagini e processi ma dopo mezzo secolo nessuno ha pagato per la morte del giudice

Lamezia Terme – E il 3 luglio del 1975 quando Francesco Ferlaino, 61 anni, esce dal Tribunale di Catanzaro dove lavora e si infila nella Fiat 124 di servizio guidata dall’appuntato dei carabinieri Felice Caruso per tornare a casa per il pranzo.
Il solito tragitto quotidiano verso Nicastro dove il magistrato abita in un palazzo in corso Nicotera. Alle 13.30, l’auto si ferma nei pressi dell’abitazione dell’Avvocato Generale. L’autista apre il bagagliaio, estrae un pacchetto e lo consegna a Ferlaino. Il magistrato scende e percorre i pochi metri che lo separano da casa. Dalla traversa opposta sbuca un’Alfa di colore amaranto. Dal finestrino posteriore dell’automobile il killer esplode due scariche di lupara alla schiena di Ferlaino.

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Il magistrato muore all’istante cadendo riverso sul marciapiede adiacente la sua abitazione. L’appuntato Caruso esce dall’auto, estrae dalla fondina la Beretta d’ordinanza ma la vettura degli attentatori riesce ad allontanarsi prima che egli riesca a sparare. L’Alfa sarà  ritrovata il giorno dopo dalla parte opposta della Calabria, a Copanello, nota località  turistica.
E’ una vettura rubata ad un avvocato di Catanzaro. Il commando formato da tre persone ha agito a volto scoperto. Eˆ evidente che gli assassini non sono di Lamezia.

francesco-ferlaino

Francesco Ferlaino nasce a Conflenti il 23 luglio del 1914. Dopo gli studi liceali al Galluppi di Catanzaro frequenta a Napoli la facoltà  di Giurisprudenza. Entra in magistratura nel 1943 e avvia una brillante carriera peregrinando nei diversi tribunali della Calabria. E’ un uomo colto, sensibile, fine latinista, religioso. Pretore e Giudice Istruttore a Nicastro, sarà anche Presidente della Corte di Assise a Cosenza, poi di quella di Assise d’Appello di Catanzaro. Qui Ferlaino dirige un processo storico: il processo alla mafia palermitana trasferito per “legittimo sospetto” a Catanzaro. Il dibattimento assume carattere esemplare in quanto porta in un’aula di tribunale, come imputati, i vertici della mafia accusati della strage di Ciaculli.
Ferlaino infligge duri colpi anche all’anonima sequestri calabrese che, in quattro anni, ha sequestrato diversi parenti di imprenditori lametini. I mandanti e gli autori materiali dell’omicidio non sono stati identificati.

(Fonte: www.memoria.san.beniculturali.it)

Il boss Giacobbe assolto col complice dall’accusa di aver ucciso Ferlaino
Assolti per insufficienza di prove. Questa la decisione della Corte d’Assise di Napoli nei confronti del boss Antonino Giacobbe e del suo complice Giuseppe Scriva, accusati dell’uccisione dell’avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino. La sentenza di proscioglimento con formula dubitativa è stata emessa ieri pomeriggio alle 17.30 dopo una riunione di altre cinque ore in camera di consiglio. Gli imputati, tuttavia, rimangono in carcere: Giacobbe sconta l’ergastolo per il sequestro e l’uccisione di Cristina Mazzotti; Scriva è detenuto per altri gravi reati.
In dodici udienze, svolte per legittima suspicione alla seconda sezione della Corte di Assise di Napoli, è stato rivissuto il tragico agguato teso a Francesco Ferlaino, avvocato generale dello Stato alla Corte di Appello di Catanzaro. L’alto magistrato venne ucciso a colpi di lupara il 3 luglio 1975 a Lamezia Terme, dove risiedeva con la famiglia. Erano le 13,30 e stava rientrando a casa a bordo dell’auto di servizio, guidata dall’appuntato dei carabinieri Felice Caruso.

Antonino Giacobbe e Pino Scriva durante il processo)
(Antonino Giacobbe e Pino Scriva durante il processo)

I killers, a bordo di una macchina, lo attesero all’ingresso della sua abitazione e lo freddarono con una scarica di pallettoni alla schiena. Mandante del crimine fu indicato nel corso delle indagini Antonino Giacobbe, 59 anni, commerciante di cavalli, indiscusso capomafia calabrese, già  condannato all’ergastolo per il sequestro di Cristina Mazzotti. Esecutore materiale Giuseppe Scriva, 34 anni, evaso per tre volte dal carcere di Civitavecchia. Durante il dibattito sono emerse prove della loro colpevolezza. Giacobbe aveva seri motivi per volere la morte di Ferlaino. L’alto magistrato era impegnato a sgominare le cosche mafiose calabresi, dedite ai sequestri di persona per finanziare i traffici di droga e il contrabbando di sigarette. Inoltre Giacobbe era sospettato di aver riciclato le banconote per la liberazione del possidente Giuseppe Cali, rilasciato dopo un riscatto di 350 milioni, e temeva che prima o poi sarebbe stato raggiunto dalla giustizia. Gli è bastato emettere una condanna di morte per trovare “picciotti” pronti ad eseguirla.
Giuseppe Scriva, superlatitante, bisognoso di denaro e di protezione, aveva anche lui motivi di rancore verso Feriamo che lo aveva mandato in prigione sotto l’accusa del sequestro Cali. Considerato un “cane sciolto” nell’organizzazione mafiosa non aveva avuto alcuna difficoltà  di assumersi il compito del mortale agguato e, dopo il delitto, si rifugiò a Borgia, zona sotto controllo del boss Giacobbe. Il pm. dott. Golia nella requisitoria protrattasi per oltre quattro ore aveva chiesto per entrambi la pena dell’ergastolo.

(La Stampa del 1 Marzo 1980)

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