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mercoledì, 24 Aprile, 2024
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Marziale : “…raccapriccio per insulti su pagina social di un morto…”

«Quell’uomo è stato e rimarrà sempre un assassino, il suo terribile crimine commesso su un bambino mi desta raccapriccio. Ma non condivido chi va a scrivere insulti sulla pagina social di un morto… simili comportamenti appartengono a una società dove prevale l’odio gratuito e si è persa la pietas umana». Antonio Marziale, già Garante regionale per l’Infanzia, risponde così alla polemica innescata su Facebook da un suo post dedicato all’omicidio-suicidio di Rivara (TO). Il tema tocca corde emotive forti: un padre uccide il figlio undicenne e poi si toglie la vita, lasciando un lungo messaggio dove racconta la depressione che lo ha indotto a maturare l’agghiacciante gesto. Che è un reato tra i più orrendi, senza se e senza ma, senza alcuna giustificazione. Ma le parole di Marziale – in un post che poi è stato rimosso – da qualcuno sono state interpretate come troppo tenere verso il padre assassino.
«Gente senza un minimo di dignità – scriveva tra l’altro Marziale – quella che si prende la briga di assolvere o condannare un uomo in preda a un male oscuro che solo chi l’ha provato sa di cosa si tratta! Certo, la morte del piccolino fa di quest’uomo un assassino che, se fosse rimasto in vita avrei lottato personalmente perché pagasse fino all’ultimo giorno. Ma come si ci può permettere di scrivere sul suo profilo “bastardo” e altri epiteti?» Il post fa evidentemente riferimento al consueto shitstorming che si scatena sul web contro i protagonisti di gravi fatti di cronaca (l’ultimo erano stati gli insulti e le maledizioni indirizzati alla compagna di uno degli assassini di Willy Monteiro e persino al figlio nascituro). Nel caso di Torino, a gettare benzina sul fuoco è la posizione di quanti hanno ritenuto l’ex moglie responsabile di aver abbandonato l’uomo malato e quindi in parte colpevole della tragedia. In questo tritacarne di haters è finito anche Marziale, nel cui post è stato sottinteso questo pensiero. In particolare, l’attivista Nadia Somma, che ha fatto girare il post, lo attacca per aver negato la stessa empatia alla madre cui è stato ammazzato il figlio. «Assolutamente no – precisa Marziale – anzi io, quando si parla di crimini, sono contrario ad ogni tentativo di rifugiarsi nell’alibi del disagio psichiatrico. Ribadisco che quell’uomo non “è stato” ma “è” un assassino, per sempre. Ma è morto, accanirsi con gli insulti su un suicida lo trovo disumano… se fosse vivo forse l’avrei fatto anch’io, tutti proviamo rabbia enorme verso chi violenta e uccide i bambini. Poi non dobbiamo dimenticare che da tempo si conosceva la sua condizione mentale, era in cura e tutti lo sapevano. A uno così non doveva essere affidato un bambino! Ancora una volta si piange dopo non aver fatto nulla per evitare un dramma». L’atteggiamento di compassione di Marziale verso il padre omicida ha poi un senso più profondo: «Lo ammetto senza vergogna, io la depressione l’ho sfiorata, so di cosa stiamo parlando. Mai sarà una giustificazione per violenze e atti criminali, ma chi l’ha conosciuta non può non provare pietà… e chi non la conosce dovrebbe evitare giudizi ed esercitare più umanità». In un altro post, Paolo Crepet ha invece affermato che l’operaio torinese non fosse depresso ma lucido assassino. «Crepet è psichiatra, io sociologo», risponde Marziale. «Ma come fa a dire che non era malato? Lo ha curato lui? Io mi attengo ai fatti, secondo i quali quell’uomo era depresso e psicotico. Inoltre, chiunque uccida il proprio figlio e poi si suicidi credo non abbia bisogno di mostrare la cartella clinica… uno così è chiaramente fuori di testa».
Il fenomeno della vendetta violenta sulle donne che interrompono una relazione continua però a tenere acceso un conclamato stato di allarme. «Gli uomini che uccidono ex mogli e figli – commenta Antonio Marziale – oltre che criminali sono disagiati sociali. La giusta emancipazione femminile che sta portando tantissime donne a poter prendere in mano la propria vita e uscire da rapporti infelici ha sviluppato in questi maschi deboli una sottocultura della sopraffazione. Non riescono a misurarsi con donne che studiando, lavorando e mantenendosi da sole, oggi non dipendono più da loro. Credo anche però che un certo femminismo urlato ed eccessivo abbia sortito più effetti negativi che positivi. Marce e manifestazioni servono a poco, quello che serve è lottare contro questa sottocultura nelle famiglie, nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Tutti abbiamo sofferto per amore, chi reagisce con la violenza ha una gravissima devianza. Non dimenticherò mai la polistenese Caterina Minì. La incontrai con il figlio poche ore prima che il marito li uccidesse entrambi». Lei era medico e aveva 36 anni, il bambino appena 5.
Isabella Marchiolo

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